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giovedì 29 settembre 2011

Un giorno per caso...



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Scritto da Roberto Scudeletti

Abitava da solo in un appartamento in affitto a Mestre, poco lontano dai genitori. A Venezia Lido aveva trovato lavoro, dopo la laurea in ingegneria, presso un’azienda che progettava soluzioni sostenibili per l’ambiente. Dal lunedì al venerdì sveglia all’alba e viaggio da pendolare, con abbonamento autobus e vaporetto. Andata e ritorno, crociera in laguna inclusa nel prezzo.

Dopo anni le facce erano quasi sempre le stesse. Assonnate. Distratte. Raramente sorrisi. Maliziosamente pensava fossero il frutto di notti di passione. Amicizie poche, conoscenze tante, anche femminili, ma una donna no. Si sentiva inadeguato. Troppo esigente, forse. Sicuramente disorientato di fronte alla maggior parte delle trentenni. Che dietro una facciata di forte personalità celavano una grande superficialità morale e intellettuale.

“Sono il solito esagerato” pensò seduto a bordo del vaporetto, mentre ammirava una soleggiata mattina di settembre. In prossimità dell’approdo si alzò. Andò a sbattere con l’angolo della borsa sul ginocchio di un paio di jeans scoloriti. «Mi scusi…» disse a voce bassa. Alzando lo sguardo per affrettarsi verso l’uscita incontrò due occhi celesti, capelli biondi lunghi e un sorriso radioso. Si ritrovò a riva, col pensiero rivolto alla breve visione e un’espressione da ebete sulla faccia. Trascorse la giornata alternando alla necessaria concentrazione un’unica distrazione. Al ritorno della ragazza nessuna traccia. Cena, poca tv e a letto presto.

Passarono i giorni e il ricordo si affievolì. Rimase latente, per ripresentarsi all’improvviso. «Mi hanno parlato di un locale aperto da poco» propose un collega a pausa pranzo appena iniziata. «Benvenuti, seguitemi in sala» esclamò una voce femminile, squillante e simpatica. Quando transitò davanti alla donna la riconobbe subito.“Sei tu!” evitò di dirle. Il pranzo lo vide stranamente taciturno. «Che hai?» gli chiese uno dei colleghi. Si alzò senza rispondere, per andare in bagno. La vide. Stava preparando alcuni caffè. “Quanto bella sei” pensò fissandola. Lei sembrò leggere il suo pensiero. Sorrise, esclamando: «Per fortuna sei venuto senza borsa, oggi!».

Nei giorni seguenti tornarono a pranzo là. I suoi colleghi lo prendevano in giro, perché si erano accorti che tra i due c’era una simpatia che attendeva solo sviluppi. Finalmente trovò il coraggio di rivolgerle la parola per chiedere qualcosa di personale: «Come sei capitata qui a lavorare?». Risolini tra i colleghi, alle sue spalle. «Ci avviamo, noi» lo avvertì uno di loro. «Vi raggiungo tra un po’» rispose senza neppure voltarsi. Ci fu una pausa di silenzio. Rossore sulle guance di lui. Tenerezza sul volto di lei. Che infine rivelò: «Abitavo a Mirano con mia madre, dopo che mio padre se n’è andato con un’altra donna. Mio zio ha rilevato questo locale e mi ha assunta. Vivo qui sopra per non fare su e giù. Tranne qualche notte se esco con le amiche, come al nostro incontro… scontro».

Avrebbe voluto invitarla fuori per proseguire la conversazione, ma gli sembrava prematuro. Assentì con un bene di circostanza e fece per andarsene. Lei percepì il suo stato d’animo. Di chi vuole, ma non riesce. Fu lei allora a percorrere la breve distanza che oramai li separava. «Domenica è giorno di chiusura e sono libera. Ti va di venire al mare con me?». Ebbe la tentazione di elogiare il fascino del mare di settembre, ma preferì accettare questo colpo di fortuna senza giri di parole. «Con molto piacere!» rispose con voce vivace, mentre ringraziava in cuor suo Cupido o il Signore o meglio ancora entrambi.

La domenica s’incontrarono all’approdo del Lido, salirono sul vaporetto, destinazione finale Pellestrina. Un lungo viaggio, finalmente non da pendolari, ma da turisti per un giorno. Per lui il fattore determinante era il feeling immediato. Empatia sì, empatia no. Subito. Con lei il responso emotivo fu addirittura eccessivo. Confermò la scossa del primo sguardo sul vaporetto. Poteva essere paradossalmente un ostacolo. “Mannaggia al mio carattere. Mi piace troppo e non riesco a essere spiritoso come vorrei” pensò guardandola. La ragazza si stava togliendo il vestitino estivo. Faceva caldo. In tutti i sensi, per lui. Rivelò un costume a due pezzi giallo con fiorellini. E un fisico mozzafiato.

Al suo pensiero corrispose un silenzio. Se una donna lo affascinava ritornava alla luce la sua timidezza. Se una donna si dimostrava, superficiale, per quanto bella potesse essere, emergeva il suo senso dello humour spensierato. L’angelo biondo lo aveva quasi stregato. Non solo con l’aspetto ma soprattutto con il suo modo di essere e di pensare. Stupenda, intelligente e simpatica. “Wow!” esclamò a se stesso.«Un soldino per i tuoi pensieri!» fece lei, allegra. Era indeciso se rilevarli ad una persona conosciuta da poco. Prevalse la sua indole spontanea: «Mi stavo chiedendo come ho fatto a essere così fortunato a conoscerti…». Un’ombra oscurò il volto da dea. «Non sarai mica uno dei soliti uomini che giudicano dal fisico?». Lei era diversa da lui. Più razionale, aveva bisogno di prove e tempo per valutare una persona. Diffidente e indagatrice. Ma alla fine coccolona. Romantica raramente.

“Beh come dargli torto” pensò lui. «No, ho fatto una valutazione complessiva. Ma i particolari non te li dirò neppure sotto tortura!». “Cavolo, stiamo flirtando alla grande!” pensarono entrambi nello stesso istante.

Fecero il bagno. Scherzarono nell’acqua tiepida, schizzandosi. La mattina lasciò spazio all’ora di pranzo. A ovest il cielo cominciava a essere fosco. «Vado e torno» disse lui. Tornò dopo circa un quarto d’ora con una borsetta ecologica che emanava un profumino invitante. «Adoro il pollo allo spiedo!» esclamò lei, contenta come una bimba. “Adoro come sei” pensò il portatore di cibo. Alle bevande aveva pensato la ragazza, con una capiente borsa frigo. «Acqua o birra?» chiese.

Proprio in quel momento iniziarono a scendere gocce dal cielo, improvvisamente oscurato da nubi grigie minacciose. «Non era l’acqua che intendevo!» esclamò lei. “Almeno piovesse birra…” pensò il ragazzo assetato. Il sole era impallidito. I suoi raggi riuscivano ancora a illuminare la scena. Nessuna traccia di temporale, ma di pioggia sì. Memore di esperienze passate le propose di mettere le loro cose al riparo e tuffarsi in mare. L’acqua sarebbe risultata caldissima. Lei lo guardò maliziosa e sorridendo scosse la testa: «Rifugiamoci in quel capanno abbandonato».

“Al diavolo il bagno sotto la pioggia!” fu il responso del suo batticuore. Si tennero per mano correndo sotto gocce d’acqua in aumento, mentre reggevano con le altre due le rispettive borse. Il capanno di legno li accolse, bagnati come pulcini. «Birra!» interruppe l’atmosfera magica il giovanotto. Lei rise per un attimo alla battuta, che ironicamente riprendeva da dove avevano lasciato il pranzo interrotto dal maltempo. Mentre le gocce rimbalzavano insistenti sulla tettoia lo abbracciò e si scambiarono i primi baci. Teneri, lenti, dolcissimi.

E decisero senza dirselo che avrebbero perso diversi vaporetti, prima di tornare alle rispettive case.
 


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