di Roberto Scudeletti
Avevo
diciassette anni nel 1965 e vivevo in una fattoria nel sud degli Stati Uniti,
dove mio padre possedeva un grande allevamento di maiali. Mia madre era una
porca.
Una sera mentre il
cornuto si era addormentato sul divano della cucina, ubriaco, lei s’infilò nel
mio letto. Iniziò a strofinarsi contro di me, incredulo e perciò
immobile. La sua mano s’inoltrò sotto i pantaloni del pigiama, in cerca di una
dura risposta. L’unica cosa che si alzò fu il mio intero corpo,
finalmente colpito da una scarica di adrenalina scioccante; fu l’ultima volta
che la vidi.
Mi nascosi nella
mansarda, dietro una pila di scatoloni di cianfrusaglie. Attesi di udire la
porta della camera matrimoniale sbattere lievemente e ritornai nella mia. La
notte stentò a tramutarsi in mattino, riuscii anche a sentire il passo
strascicato del babbo sulla scala; solo verso l’alba di quell’estate maledetta
mi addormentai.
La colazione fu
silenziosa. <<Dov’è la mamma?>> chiesi, alla fine. <<E’
uscita presto con l’auto, sarà andata in città>> furono le uniche parole.
Le vacanze da scuola per me consistevano nel dare una mano con i maiali, i
compiti erano relegati dopo il tramonto, gli amici solo il sabato sera, se non
lo facevo incazzare, altrimenti giù botte.
Rientrai a casa
all’ora di pranzo per bere l’acqua ghiacciata dalla bottiglia in frigo, ma di
lei ancora nessuna traccia, a partire dal parcheggio deserto. Ritornai
nell’allevamento alla ricerca di mio padre per avvertirlo; per la prima volta
lo vidi con un’ombra di preoccupazione sul viso.
<<Ieri
sera avete litigato?>> mi domandò. Sorrisi scrollando la testa; sapeva
che ci amavamo, anche se nessuno di noi due avrebbe potuto immaginare fino a
che punto.
Verso sera squillò il telefono. Andò
lui e una lacrima rispose al mio sguardo interrogativo. Al funerale di mia
madre entrambi non riuscivamo a smettere di piangere. “Si è suicidata per colpa
mia?” mi chiesi, stupidamente. Decisi di mantenere il segreto dentro di me.
Cinque anni dopo mi ritrovai ancora
vergine ad affrontare le occhiate curiose e maliziose delle ragazze, quando andavo
in paese a far provviste. Per non pensarci mi rifugiavo nel lavoro e, la sera,
consumavo sul giradischi album di rock duro con le cuffie incollate alle
orecchie.
Non avevo mai praticato
l’autoerotismo; il sesso era rimasto materia congelata, dopo quella tragica
sera. Un giorno il destino decise di cambiare tutto.
<<Ciao Paul,
come stai? Sono Lucy, andavamo insieme a scuola, ricordi?>> squillò una
voce femminile alle mie spalle mentre caricavo di viveri il pianale del
furgone. Girandomi vidi un volto lentigginoso, con occhi azzurri, capelli
biondi e una mano tesa verso di me. Gliela strinsi in maniera molliccia,
sussurrando un impacciato “Beh no” che rilevò la mia timidezza. Lei invece fu
molto intraprendente. <<Ho voglia… di vedere dove vivi>> mi
propose, dopo poche chiacchiere mentre terminavo il lavoro. <<Mi fermo a
una cabina, così avverti i tuoi?>> le chiesi io, mentre eravamo già
partiti. <<Non serve, ho già detto che dormo da un’amica fidata. E lei
non sa, dove vado… e se torno stanotte, ma mi copre sempre>> m’informò,
maliziosamente.
Parcheggiai
vicino al magazzino, lei scese guardandosi attorno, mentre Jack, l’aiutante
nero della fattoria, iniziava a scaricare la roba dal furgone portandola al
magazzino.
La visita ci
portò velocemente al tramonto e una brezza gelida spinse i nostri corpi a
rifugiarsi nella cucina riscaldata da una grande stufa a legna, accesa da mio
padre. Una pignatta sul fuoco stava cucinando la minestra di verdure del nostro
orto per la cena. La tavola era già apparecchiata per quattro.
Jack lavò
velocemente i piatti e si ritirò subito nella casupola tra la nostra casa e la
stalla dei maiali. Io presi per mano Lucy. <<Buonanotte>> si
rivolse a mio padre che aveva preso possesso del divano del salotto e della
solita bottiglia di whiskey, sua compagna abituale per gran parte della notte.
Un grugnito, molto simile a quello di un suino, fu la risposta.
<<Deformazione professionale>> le sussurrai sulle scale, facendole
uscire un risolino soffocato da una mano sulla bocca.
Arrivammo al
piano di sopra. <<Questa è la camera degli ospiti>> le dissi
aprendo una porta. <<E questa è la mia>> aggiunsi subito dopo, con
un tono quasi indifferente, neutro, mentre dentro di me tra cuore e nervi si
era stabilito un collegamento elettrico capace di far girare la metropolitana
di New York, anche se non ci ero mai stato in vita mia.
Mi gettò sul
letto incominciando a spogliarmi, partendo dai pantaloni. Stava anche
parlandomi, ma non sentivo nulla, perché dalle nebbie del passato ritornò
fulmineo e violento, come un pugno nello stomaco, il ricordo di mia madre.
<<… tua madre…>> sentii dirle. “Che mi legga nel pensiero?” fu la
mia reazione immediata.
La guardai,
mentre maneggiava il mio pene, flaccido come un lombrico e incapace di
soddisfare qualsiasi femmina. <<… so tutto di te e tua madre, lei scappò
e si rifugiò a casa nostra, ma si confidò solo con me, prima di farla finita. E
ora capisco il danno che ti ha fatto. Mio povero, caro Paul>>.
E mi abbracciò
con le sue lacrime che mi bagnavano il collo. Io rimasi impietrito. Ma non per
molto. Tutto l’odio che nutrivo per mia madre, per quello che aveva tentato di
fare, per quello che mi aveva provocato, per avermi lasciato da solo ad
affrontarlo, tutto ciò esplose dentro di me.
Le donne per me
erano diventate un nemico da punire, tutte, a iniziare da questa maledetta
pettegola che conosceva il mio segreto. Afferrai la troia per le spalle e mi
alzai spostando entrambe le mani sul suo collo, stringendo sino a farla
svenire. Non doveva morire, non subito. Voleva un bel cazzo? Lo avrebbe avuto,
anche se non il mio.
Svegliai Jack e
lo condussi senza spiegazioni nella stalla dei maiali, illuminata da tenui neon
dalla luce blu. Vide subito la donna inanimata, supina su un telone di plastica
e mi rivolse uno sguardo interrogativo.
<<Ogni
settimana nel giorno libero te ne vai a puttane in città, vero o no?>>
gli dissi con un tono diverso, maligno e disinvolto. <<Sì, capo>>
rispose mostrando i suoi denti bianchissimi in un sorriso voglioso. <<Questa
volta te ne ho portata una a domicilio. Una gran troia che vuole il tuo cazzone
nero>> gli spiegai, battendogli una mano sulla spalla massiccia.
<<Ma era a
cena con lei, pensavo fosse la sua ragazza…>>. Un ceffone scalfì appena
la sua postura da atleta, mentre mi trattenevo dall’urlare. Dissi invece con
voce piatta: <<Da oggi le ragazze m’interessano solo per punirle perché
sono tutte grandi troie fottute e tu sarai il mio boia. In cambio prima te le
farò scopare, poi le taglieremo a pezzi e le getteremo in pasto ai maiali. Sono
stato chiaro?>>.
Avevo salvato
Jack dal carcere duro e dalle violenze degli altri detenuti, garantendogli un
solido alibi in un caso di stupro e omicidio di una studentessa universitaria,
tre anni prima. Non potevamo permetterci di perderlo, anche se non ero sicuro
che fosse innocente. Allora sentivo che in futuro avrei potuto chiedergli in
cambio di buttarsi nelle fiamme dell’inferno per me. E quel momento era giunto.
Senza aggiungere
una parola si spogliò completamente nudo, mentre io con piccoli schiaffetti
svegliai Lucy per il suo ultimo viaggio. Aprì gli occhi e quando si accorse di
essere sormontata da un enorme fallo eretto, che evidentemente dal basso pareva
ancora più grosso, tentò di urlare e di muoversi. I polsi erano legati ben
stretti dietro la schiena, lo stesso le caviglie e sulla bocca un bavaglio le
impediva di emettere suono, lasciando libere solo le narici per respirare.
Jack era sempre
più arrapato. Scopare una troia a pagamento era un conto, violentare una
ragazza ribelle era un altro. “Le donne sono tutte zoccole, però anche gli
uomini quando ci si mettono sono peggio dei miei maiali” pensai in quel
momento.
Al primo affondo
lei tentò ancora di opporsi, ma dopo le successive spinte impetuose dentro il
suo sesso fu come fosse già morta, un cadavere che freddamente accettava la sua
sorte, inesorabile.
Jack invece ci
prese gusto e le sbottonò la camicetta, rivelando due seni sodi e grandi che si
divertì a premere, schiacciare, palpare, mentre si alzava e abbassava tra le
sue cosce. Iniziò a fare quello che fanno gli infanti e gli uomini libidinosi,
succhiandole i capezzoli sino a farli ergere, come mammelle di vacca. Solamente
che il latte uscì invece dal suo orgasmo spargendosi su tutto il corpo della
femmina tramortita, come la schiuma di una cascata in piena.
Si rivestì mentre
io tolsi il bavaglio dalla bocca di Lucy per udire la risposta al mio esecrante
“Ti è piaciuto puttana?”. Che non poteva arrivare alle mie orecchie, perché non
m’interessava e soprattutto perché le stavo stringendo al collo una corda
spessa; lo schiocco di carotide e trachea interruppe il sadico gioco.
Nella sala di
macellazione avevamo tutta l’attrezzatura necessaria e così la gettammo a pezzi
in pasto ai maiali adulti che la divorarono tutta, ossa comprese; sarebbe
diventata un salume pure lei, seppure indirettamente. Fu la prima di una lunga serie.
<<Perché
lo fai, capo?>> mi chiese Jack dandomi oramai del tu, una volta che stavamo tagliando a
pezzetti una ballerina di lap dance. La sapevo sola al mondo e perciò l’avevo
rimorchiata con la scusa di un extra in dollaroni fruscianti.
In
cambio del suo silenzio e della collaborazione ero io ora a offrirgli la
chiavata settimanale e lui mi sostituiva nell’opera preliminare di violenza
prima della punizione finale. Non volevo svelare a nessuno il segreto di mia
madre, solo mio padre sospettava che potessi entrarci io, ma senza mai arrivare
neppure a sognare fino a che punto.
<<Fatti
i cazzi tuoi che stavolta l’hai pure sodomizzata, non ti basta?>>. In
fondo mi era rimasto un po’ di animo gentile; infatti le avevo unto il buchetto
con un unguento da noi prodotto, a base di grasso di porco. Purtroppo l’enorme
attrezzo glielo aveva fatto sanguinare ugualmente.
Una
mattina verso le undici presi il furgone e mi recai in città per fare un giro
al negozio di dischi. Il proprietario non c’era. Al suo posto una ragazza mi
salutò con un sorriso dalla dentatura perfetta: <<Buon giorno, benvenuto.
Sono Sally, la figlia di Tom. Purtroppo lui è a letto con una brutta tosse e mi
ha chiesto di sostituirlo>>.
Non
mi ricordavo di averla mai vista prima. Le tesi la mano, osservandola.
<<Piacere, mi chiamo Paul>>. Lei stinse la mia dal bancone, rivelando
un fisico snello con curve giuste al posto giusto. “Piacerebbe a Jack” pensai
subito.
Mi
avviai nel reparto heavy metal e iniziai a sfogliare i trentatré giri negli
scaffali. <<E’ arrivato il secondo album dei Black Sabbath direttamente
dall’Inghilterra, li conosci?>> mi chiese lei da dietro, quasi
spaventandomi. <<Sono tra i miei gruppi preferiti>> le risposi
infastidito. <<Vieni che ti faccio sentire una canzone>> mi
sorprese, portandomi al giradischi vicino alla cassa.
Le
note di War Pigs e la voce di Ozzy mi rapirono, facendomi estraniare dal luogo
in cui mi trovavo; mi pareva di essere sotto l’effetto di uno degli spinelli
che ogni tanto Jack ed io ci sparavamo quando il mio vecchio ronfava sbronzo.
Uscii
con l'album in mano, riconoscente alla figlia di Tom e alla sua malattia.
“Cazzo è da tanto tempo che non pensavo bene di una troia di femmina” pensai
guidando verso la fattoria. Non vedevo l’ora che venisse sera per ascoltare
tutto l’album “Paranoid”.
Passarono
i mesi e la febbre di Tom si rivelò qualcosa di peggio, che gli fece
raggiungere gli angeli in cielo o i demoni all’inferno, a discrezione del
padreterno.
La
figlia gli subentrò trascurando per un po’ gli studi universitari, mentre stava
formando una commessa a sua immagine e somiglianza, cioè una vera intenditrice
di musica, in tutti i generi possibili, con una particolare attenzione per i
dischi d’importazione.
Il
negozio divenne così un punto di riferimento per i giovani della zona;
incominciai a considerarlo un appuntamento fisso come minimo settimanale. Mi
deliziavo con una lunga chiacchierata, per quanto possibile, sulle ultime
novità. E Sally la trovavo, stranamente, piacevole.
Una
di quelle volte, senza sapere come e perché, la invitai fuori per un panino e
una birra. Lei accettò immediatamente, come se non aspettasse altro. Bevve una
coca ma ci diede dentro con salciccia, uova, salse varie e latte; del resto era
talmente in forma che poteva permetterselo. <<Qual è il tuo disco preferito,
allora?>> mi chiese tra un boccone e l’altro. Io sapevo che il suo era
l’ultimo dei Led Zeppelin, un'altra band di oltre oceano che stava spopolando
anche qui con concerti dal vivo sempre esauriti. <<Paranoid dei Black
Sabbath, il nostro primo disco>> le sparai, spontaneamente. Lei mi prese
le mani tra le sue, dolcemente, dicendomi: <<Che romantico…>>.
Fu
un inizio così soave che proseguì tra timidi baci e abbracci, senza mai
sconfinare nel sesso. Sesso che invece Jack proseguiva a esercitare sia fuori
sia dentro la fattoria. Ogni tanto una nuova vittima forniva cibo umano ai miei
suini che avevo ribattezzato War Pigs, maiali da combattimento, feroci e
onnivori animali divoratori, in onore della mia canzone favorita.
Il
giorno del suo compleanno Sally lasciò da sola la commessa nel negozio e venne
a trovarmi, per la prima volta, alla fattoria, tra i soliti grugniti di mio
padre e l’apparente indifferenza di Jack.
Dopo
pranzo stavamo seduti sul dondolo nel portico. <<Tra poco parto e vado in
città, ma poi torno>> le dissi. <<Spero bene, stasera festeggiamo
il mio compleanno! Tra poco mi metto a fare la torta. Che cosa vai a
fare?>>. Risi di gusto, per la prima volta dopo tanto tempo.
<<Sorpresa!>> le dissi. Volevo andare al suo negozio per regalarle
il doppio dal vivo dei Led Zeppelin, ma poi pensai che fosse un’idea ridicola e
preferii un profumo alle rose, dolce come lei.
Tornai
che era buio, in un gelido tardo pomeriggio d’inverno, con i fanali accesi a
illuminare l’aia scura. Scesi e trovai mio padre solo. <<Dov’è
Jack?>> gli chiesi. <<L’ho visto uscire da casa>> rispose
senza guardarmi in faccia.
Spalancai
la porta d’ingresso e trovai cucina e salotto vuoti. Lo stesso al piano di
sopra. Corsi di sotto e trovai la torta che stava cuocendo in forno. “Dove
cazzo sono quei due?”.
Tra
la casupola, il magazzino e la stalla degli “war pigs” scelsi quest’ultima.
Aprendo la porta udii un gemito leggero. La scena che stavo guardando mi paralizzò.
<<Ciao,
capo te l’ho fatta trovare pronta, contento?>> chiese Jack col suo solito
sorriso lucente. Per fortuna indossava ancora i pantaloni.
<<Che
cosa ti salta in testa minchione?>> urlai senza ritegno.
Lo
sguardo del gigante d’ebano si fece serio, dubbioso e poi cattivo.
Gli
occhi emanavano spirito di ribellione. “Siamo nei guai, amore” pensai voltandomi
verso di lei, imbavagliata, legata e, bastardo, nuda e pronta all’uso.
Lui
si toccò il pacco gonfio con la sua manona e sorrise. <<Pensavo che fosse
come tutte le altre, capo, una troietta per me da scopare e per te da
massacrare. Non mi dire che questa è la tua fidanzata?>>.
Era
la frase più lunga che gli avessi mai sentito pronunciare e con un tono che
sapeva di presa per il culo, mentre sino a poco prima avevo creduto che fosse
veramente una sua incomprensione. No, cazzo, lui aveva capito che lei era
importante per me e che poteva rovinare il nostro giochetto, per sempre. Il suo
atto era di difesa.
<<Aspettami
qua, non fare un passo>> gli ordinai.
“Povero
coglione” pensai, mentre mi recavo a casa nello studio dove tenevamo sottochiave
l’armadio blindato delle armi. Tornai con il fucile carico e lo trovai che
stava leccando il collo all’unica donna che non mi aveva deluso.
<<Alzati
Jack!>> gli intimai e appena obbedì gli sparai alla schiena facendolo roteare
su stesso e precipitare a terra, in un lago di sangue. Questa volta fu lui a
fare la fine delle sue vittime.
La
mattina dopo mentii a mio padre dicendogli che lo avevo licenziato perché
sorpreso a rubare a casa nostra, senza specificare altro. Lui, senza fare
domande, scosse la testa replicando: <<Trovane un altro al più presto,
che da soli non ce la facciamo a mandare avanti la baracca>> e se ne andò
al lavoro sui campi. Non sapevo se l’aveva bevuta; a me andava bene così.
Ero
stanco morto per la nottata passata a disfarmi del cadavere di Jack,
naturalmente dato in pasto ai miei maiali da guerra, e a pulire i segni della
sparatoria nella stalla. Decisi di tornare a letto.
Aprii
la porta e trovai Sally che mi guardava seria dal letto. Dormimmo abbracciati.
Le avevo confessato tutto come un fiume in piena che ha rotto gli argini,
compreso il mio amore per lei; avevo ottenuto il suo perdono e la sua
complicità.
Ci
svegliammo poco prima di mezzogiorno. Stavo per scendere in vista del ritorno
del mio genitore, ma lei mi fermò, decisa. Salì a cavalcioni sopra di me e
puntò quegli occhi verde smeraldo nei miei dicendo: <<Anch’io ti
amo>>.
Un
brivido caldo partì dal mio volto e per la prima volta percorse tutto il mio
corpo sino a raggiungere la parte più impensata. Lei se ne accorse e mi baciò
prima sulle labbra e poi incominciò a scendere, veloce. Raggiunse il mio
ombelico e scese ancora, baciando con la punta della lingua umida i miei
interno coscia, causandomi un ulteriore ondata di calda eccitazione.
Con
la testa si spostò al centro e abbassò la bocca verso il mio cazzo che,
miracolosamente, rispose a tutti i suoi stimoli erotici ergendosi
a vita nuova.
Feci
l’amore per la prima volta. E non fu una delusione, tutt’altro. Anche il suo
sesso era eccitato, bagnato e accogliente, senza bisogno di alcuna forzatura o
guida.
L’incastro
fu immediato e i nostri due corpi si fusero in uno, accoppiando il ritmo che da
lento divenne frenetico, senza freni e ostacoli, verso una corsa all’orgasmo
che giunse inaspettato, almeno per me, come una liberazione attesa per tutti
quegli anni.
Il
ricordo del lieto fine di questa sporca storia sta ora funzionando da
consolazione, da calmante, in attesa che i miei carnefici arrivino tra pochi
minuti. Mi condurranno nella stanza per l’iniezione letale cui sono stato
condannato, dopo anni di carcere nel braccio della morte di questa prigione
federale.