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martedì 10 dicembre 2013

CORNA E BRESAOLA

di Roberto Scudeletti

UN RACCONTO IN 10 PAROLE PER RIGA



Il coltello alla gola, la bresaola alla bocca, che situazione!

Non sapevo se ingoiare la bresaola o fermare la lama.

"Che sia capace di fare entrambe le cose?" pensai, ingordo.

Ero nei casini, col pizzicagnolo geloso; voleva vendicare le corna!

Avevo conosciuto sua moglie per caso; fu sesso esplosivo spontaneo!

Peccato che lui ci scoprì col solito sms intercettato proditoriamente!

Non lo sapevamo, ora col coltello alla gola lo so....

Ci ha scoperti, a me tiene bloccato e a lei?

Meglio non pensarci e ingoiare il rospo, cioè la bresaola!

Fatto, ora devo trovare il modo di spezzargli il braccio...

Mi sono rotto il razzo, ora glielo spezzo sul serio!

E così faccio, di fronte a clienti allarmati e paralizzati.

Attuo una presa marziale, faccio leva e lo alzo tutto...

Vola merdaccia e spaccati il naso sul bancone dei salumi!

Mi massaggiai la gola, fredda di lama, lasciando il negozio.

Fuori pensai che non vi avrei mai messo più piede.

E neppure nella patata della moglie del cornuto. The end!

sabato 23 novembre 2013

GORY TEX & PULPY FIX Episodio 12 "L'origine del male: Pulpy Fix"

 


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Erano gli anni '90 quando un ragazzo come tanti si volle distinguere dalla massa dei coetanei rincoglioniti dalla corsa agli abiti firmati, alle scarpe di marca ed ai primi computer.

La sua passione era il cinema, i suoi miti i grandi attori born in USA, a cominciare dal mitico trio Al Pacino, Robert De Niro e Dustin Hoffman e tutti, ma proprio tutti, i loro film; visti e rivisti al cinema, acquistati in cassetta dai nastri oramai quasi consumati.

"Belin tra poco il videoregistratore va a bagasce!" pensò dopo l'ennesima visione, stravaccato sul divano con una bionda birra in mano e l'altra in mezzo alle gambe della sua disponibile amica Cinzia. 

I genitori lo avevano lasciato solo, tanto era maggiorenne; usufruendo da pochi mesi, entrambi come dipendenti pubblici, delle allettanti pensioni baby se ne erano andati nella loro casetta sui monti innevati di Limone Piemonte, in quel freddo inverno sulle porte del Natale 1994. 

Lui li avrebbe dovuti raggiungere non appena iniziate le vacanze dal liceo, ma non ne aveva molta voglia. E lo credo, con la casa libera! Pur senza fare disastri ne approfittava per fumare erba in compagnia e portare a casa qualche troietta disponibile; certo la maggiorparte, almeno a quanto gli risultava, soprattutto delle sue compagne di scuola, erano ragazze serie, nel senso che per darla dovevano innamorarsi, ma lui cercava le altre, quelle che, come lui, volevano solo sesso per divertimento. 

Per impegnarsi, per amare, non si sentiva ancora pronto; il cuore era off limits, mentre il belino, cazzo, era un altro paio di maniche.

Successe quasi per caso. Stava bighellonando, tappato nel suo giaccone imbottito per affrontare il vento gelido, tra via XX Settembre e Piazza De Ferrari. 
Un cartellone dalla scritta in giallo "Pulp Fiction" su sfondo rosso fuoco lo attrasse verso la bacheca dei cinema della zona. Una bella sventola pareva guardare invitante proprio lui!

La firma di Quentin Tarantino e un cast di eccezione lo invogliarono a precipitarsi nella sala dove lo proiettavano, distante solo pochi passi, senza neppure fermarsi ad una cabina per invitare qualche amico, dei rari che aveva.

Uscì folgorato, eccitato dentro, imbambolato fuori, stile zombie; una condizione che mantenne una volta tornato a casa, a cena davanti alle lasagne riscaldate al microonde, sul divano incapace di godersi un film dei suoi e poi a letto, durante una notte tormentata.

La mattina dopo, per fortuna niente lezioni. 

Potè godersi la sensazione di onnipotenza che lo aveva pervaso. 

La sua anima aveva assorbito le lezioni sanguinose di quella pellicola, trasformandolo in un'altra persona.

Da quel giorno la filosofia pulp, comportamenti forti e deliberati che sfociano in atti violenti ed efferatezze, divenne la sua per gli anni a venire. 

Non fu difficile trovare chi lo instradò verso la carriera delinquenziale, partendo come staffetta di armi e droga.

Come sappiamo la sua fama crescerà dopo l'incontro con Gory Tex, con cui formerà la coppia di liberi professionisti del crimine più apprezzata di Genova e regioni limitrofe.


 





sabato 9 novembre 2013

GORY TEX & PULPY FIX Episodio 11 "Le origini del male: Gory Tex"





 

Ovviamente i nostri due disgraziati protagonisti (eroi parrebbe esagerato per chi si guadagna da vivere menando ed uccidendo) sono nati con ben precisi nomi e cognomi, attualmente a noi sconosciuti; sostituiti da due nick name, come usa adesso nel mondo virtuale che sta quasi soppiantando la vita reale, hanno la loro bella spiegazione di esistere.

Gory Tex era un adolescente quando frequentava assiduamente una fumetteria in Via San Luca, dove acquistava soprattutto le storie del ranger Tex, il cui metodo di giustizia a suon di cazzotti e pallottole entrò dentro di lui, come la giusta filosofia per affrontare i cattivi che gli sarebbero capitati tra le palle.

La mamma lo voleva dottore, lui già faceva fatica a terminare le superiori, con una crisi profonda in quarta e quinta, dove pensava solo alla musica metal, alla boxe  ed alle ragazze; l'esame di maturità fu passato col minimo indispensabile per ottenere il diploma di perito industriale.

Gli ultimi due anni furono utili per imparare ben altre materie. 
Molto più pratiche e fruttuose in termini di esperienza per il futuro e palanche in tasca.
 

Un giorno vide un figlio di papà che frequentava il suo stesso istituto tecnico, circondato da un paio di bulli ripetenti. 

- Tira fuori un biglietto da cinquantamila se vuoi continuare a camminare con le tue gambe - lo sentì minacciare il più ciccio dei due. 

- Naturalmente a fine mese dovrai pagare un altro dazio per farci sopportare la tua puzza sotto il naso - rincarò la dose l'altro, decisamente più in forma fisica, prestante e pericoloso.

Stava per tirare dritto quando pensò che le cinquantamila potevano fare comodo a lui, eccome!

- Ehi raga, come butta? - fece loro in tono amichevole, copiando l'approccio iniziale del suo eroe Tex.

- Se te ne vai a farti una riga di cazzi tuoi andrà meglio per tutti - rispose baldanzoso l'atleta, mentre il sovrappeso continuava a bloccare la vittima sorridendo verso di lui.

Fu come quando il cobra attacca senza preavviso, con uno scatto veloce e micidiale; il primo si ritrovò seduto con il naso spaccato ed il secondo a terra sulle grosse ginocchie, con lo stomaco piegato in due da un colpo diretto di punta di piede, taglia 45 abbondante.

Da quel momento Tex avviò una attività di protezione a favore di una decina delle vittime di bullismo che preferirono pagare lui, garantendoli un primo stipendio mensile esentasse di tutto rispetto, per un diciassettenne di quei tempi.

Approfittando di un padre invertebrato che preferiva seguire i propri affari e vizi, cornificando abbondantemente la moglie, piuttosto che l'educazione dell'unico figlio, la sua attività, dopo la scuola, prese una strada di grande espansione verso i servizi di scorta, pestaggio, avvertimenti e, perchè no, sicariaggio (parola coniata da lui stesso medesimo) a favore dei boss di Genova, Liguria e zone limitrofe, tipo il basso Piemonte e le prime province toscane, da Massa a Pisa e Livorno.

Potè presto abbandonare il tetto familiare a favore delle tette di una ballerina ucraina bionda dagli occhi blu che lo ospitò in zona Foce, sino a che non si ruppe il belino di lei e andò in affitto in centro storico, poco lontano dal Porto Antico.

Fu in un locale malfamato nei pressi della sua nuova dimora che, come sapete dall'episodio 1, nacque la mitica coppia di criminali sanguinari e svitati con Pulpy Fix, ma di quest'ultimo leggerete la prossima volta!


domenica 20 ottobre 2013

MAREA poesia di Roberto Scudeletti






La marea è lunatica
solleva palette e secchielli
distrugge di sabbia i castelli

La marea è erratica
appare e scompare
riappare puntuale

La marea è epica
come vita e morte
della Terra regola sorte!



martedì 15 ottobre 2013

INSANA FOLLIA di Roberto Scudeletti





Osserva l'orizzonte marino, la costa frastagliata, la schiuma bianca delle onde infrangenti sugli scogli scuri, in questa giornata autunnale di timido sole. E gli viene voglia di gettarsi a capofitto nella fredda acqua, come una accaldata testa di follia pura che vede come unica soluzione, cura e rimedio l'oblio delle profondità. Perchè le sue, di profondità, sono ferite, sanguinano dal passato e imputridiscono il presente, rendendo il futuro cupo, incerto, assassino di felicità. Rimedi alternativi, quasi fossero medicine omeopatiche, esistono ma abbisognano di energia, di forza, di azione. E lui ne è privo. Cosa suggerisce la via più breve dell'autodistruzione? Pigrizia, tutto sommato agiatezza nel dolore, incapacità congenita alla reazione? Sapere non significa essere consapevoli, forse anche senza alzarsi e lottare?
una voce salutante, salutare per il suo guscio di solitudine volontaria.
Un sorriso, una carezza emotiva, un fugace bacio, un travolgente innamoramento potrebbero mai costituire la soluzione alternativa alla sua vita di regolare fallimento?
Non stava scavalcando la ringhiera, non teneva la testa, pesante, in basso verso l'accogliente morte scalpitante. Eppure quella persona aveva intuito un suo disagio, una pressante involontaria richiesta di aiuto; infatti il tono della voce non era stato semplicemente colloquiale, quasi un dovere sforzato e poco spontaneo dovuto alla conoscenza reciproca.
No! Alle sue orecchie il messaggio sotto inteso era suonato come un "stai male, io posso fare qualcosa per la tua anima malata!" dando l'impressione che sapesse il contenuto dei suoi pensieri, del suo inconscio, del suo penare mortale. Un salto lo ricongiunge a quella voce familiare, della sua mamma defunta anni prima che era venuta a riprenderselo.

venerdì 30 agosto 2013

GORY TEX & PULPY FIX Episodio 10 "Genova by night"



La vita per i due criminali, fratelli di sangue, aveva un ritmo ben diverso dalle persone normali, con lavoro, famiglia, casa e, per chi crede, chiesa.

Procedeva a ritmo di sesso, fumo e kill & roll, nella loro testa proprio in quell'ordine, anche se, in realtà, spesso erano costretti a dare la precedenza alla professione.

Erano stimati picchiatori e assassini, magari in trasferta, per conto di boss, con tante palanche da potersi permettere i loro servizi, sempre molto richiesti. 

Loro, in parte, giravano le mazzette di biglietti da cento euro a qualche sbirro compiacente che teneva lontano eventuali colleghi rompicoglioni e sospettosi.

E il giro si chiudeva, con felicità per tutti; tranne che per le vittime designate.

Gioco forza vivevano di notte, tra spietate esecuzioni e vita notturna, tra silenziatori o coltelli e bagasce o canne di afgano, raramente strisce di coca, che toglie il senso della realtà, a loro necessario; a meno che non avessero davanti un periodo di ferie, allora una sniffata ci stava, mai più di una di seguito, comunque.

All'alba si trascinavano a letto, saltavano il pranzo e, cazzo, verso le 4 o 5 del pomeriggio di rifacevano con una bella merenda a base di focaccia genovese traboccante di salame di Sant'Olcese o di prosciutto crudo, rigorosamente di Parma, innaffiata da mezzo litro di birra bionda, leggera per riprendere il ritmo della giornata che li attendeva. Una moca da sei di caffè forte completava l'opera. 

Anzi no, svegliarsi con un bel troione trombato a fondo lo faceva; l'importante era che, dopo un'ultima sveltina, si vestisse e sparisse nei vicoli da dove era venuta.

Quel pomeriggio si svegliarono soli, con un compito impegnativo da portare a termine, per un importatore di mano d'opera extracomunitaria irregolare a basso prezzo, da piazzare come venditori di cianfrusaglie e spacciatori di roba ben più redditizia.

I soliti cavalli pazzi solitari volevano intrufolarsi nel giro senza pagare la sua protezione; andavano puniti, severamente.

- Belin, che voglia che ne ho - disse sbadigliando Gory Tex.

- Io ancora meno, ma le palanche ci fanno comodo, belin - replicò stirando le braccia in alto Pulpy Fix.

Dopo la solita trafila di colazione/merenda, docciatura e vestizione i due damerini, verso le sei del pomeriggio, andarono a fare in giro per Via San Luca, salutando i negozianti e chiacchierando con le commesse, soprattutto le più fornite di curve e tette.

Alla chiusura aiutarono l'amico Gigi il napoletano, fornitore ufficiale di armi "pulite" e precise, a tirare giù la saracinesca della sua bottega di barbiere, una delle ultime sopravvissute.

Si fece finalmente l'ora di cena ed il buio aveva ingoiato il mare, scuro e quasi invisibile, da Piazza Caricamento e Sottoripa.

Risalirono il centro storico e poco prima di sbucare in via Roma e Piazza De Ferrari si accomodarono in un pub dall'arredamento tipicamente britannico, rossa cabina telefonica compresa.

Si sedettero in un tavolo appartato dove riepilogarono la loro missione che verso la mezzanotte li avrebbe visti protagonisti. Preparare in anticipo ogni particolare era da professionisti, improvvisare da imbecilli.

I due aspiranti suicidi facevano parte senz'altro di questa ultima categoria, per mettersi contro il boss e costringerlo a rivolgersi a due bastardi come loro due; poveretti, non sapevano cosa stavano per subire.

Lo squallido locale in un vicolo defilato offriva divani sfondati, fumo scadente e puttane tossiche; era a buon prezzo e quindi frequentato da chi non si poteva permettere di meglio, tra cui i due pezzenti che volevano fare il salto di qualità ai danni del boss.

- Poveri illusi! - sussurrò Gory all'orecchio di Pulpy, avvicinandosi al loro tavolo con una bottiglia di birra in mano.

Erano impegnati a farsi venire duro il pacco sotto i jeans da due zoccole dagli occhi spiritati da pasticche chimiche e desiderose di una mancia extra, per procurarsene altre.

Li lasciarono sfogare. Il loro tempo sarebbe arrivato; ci voleva pazienza.

Le luci si fecero ancora più soffuse, con il fumo di sigarette e canne che danzava come nebbia sino al soffitto, lasciando nella semi oscurità la zona divani; le carezze ai due prossimi predestinati si erano tramutati in pompini frettolosi. Bene, tra poco i loro aguzzini sarebbero entrati in azione.

Gory e Pulpy uscirono piazzandosi in un vicolo laterale, riprendendosi dal caldo del locale con la fresca aria di mare, che pareva anticipare un temporale con i contro cazzi, preannunciato da lampi e tuoni in lontananza.

- Tienti pronto - disse calmo Tex, accarezzando la pistola sotto il giubbotto di pelle nero come la pece; Fix lo imitò masturbando dall'alto in basso e viceversa un paio di volte il manico del suo coltellazzo.

I due tipi uscirono, barcollando, schiamazzando, ridendo. Ancora per poco.

Vennero afferrati e trascinati nel vicolo stretto e desolato da mani possenti e braccia decise, in una morsa d'acciaio, mentre nastri adesivi spessi chiudevano velocemente le loro bocche cariate, impedendo la fuoriuscita del minimo suono.

- Statemi bene a sentire, pivelli - fece Gory guardando entrambi, feroce, con le due mani strette intorno ai loro giovani colli sottili; Pulpy si limitava a mostrare in un pugno il pistolone dell'amico e in un altro la sua lunga lama luccicante, nonostante l'assenza di luna.

La ramanzina era stata breve e chiara, inequivocabile. Ma al boss non bastava; per esperienza sapeva che bisognava dare una lezione esplicativa dopo le parole, con fatti basati sulla violenza, sulla punizione preventiva, una sorta di antipasto, di anticipo rispetto a quello che sarebbe potuto succedere in caso di disobbedienza successiva.

Un dentista direbbe "meglio prevenire che curare"; fu per quello che si ritrovarono con un paio di denti in meno ed un leggero trauma cranico alla fine della lunga nottata.

A proposito di notte, per i nostri due cattivi eroi non poteva finire così. Di scopare non avevano voglia, di stordirsi neppure, avevano in fin dei conti già fumato indirettamente nella topaia di prima, che fare allora?

- Ho voglia di tranquillità - si espresse Gory e Pulpy colse al volo.

Montarono sulla sua auto coupè nuova di stecca, tirata fuori da un garage sotterraneo poco distante e si diressero sulla circonvallazione a monte.

Arrivati ad una spianata del Righi la stupenda Genova illuminata era ai loro piedi, con il porto e la Lanterna al centro e lampi a rigarne il cielo, dietro.






giovedì 4 luglio 2013

GORY TEX & PULPY FIX Episodio 9 "Una dura estate a mollo"



- Belin che male! - esclamò Gory, mentre Pulpy lo aiutava ad applicare del ghiaccio gel sul gomito.

Durante l'ultimo "lavoretto" degli scagnozzi avevano avuto l'ardire di difendere un tipo che dovevano mettere in riga, per conto di un boss di Caricamento.

Prima di rimetterci chi i denti chi la mascella erano riusciti a dare una sprangata a Tex; per evitare che lo beccassero alla testa aveva alzato il braccio, con quel bel risultato.

- Per fortuna non te l'hanno rotto, quei figli di bagascia - tentò di consolarlo Fix.

Mentre si scolava il terzo bicchiere di Jack Daniel's, in quella dannata ed afosa serata di luglio, il ferito stava seriamente pensando di mollare tutto, almeno per un po'.

- Ho bisogno di staccare la spina, di riposo da 'sta vita tutto stress - si confidò con l'amico, collega di mille criminose avventure calibro quarantacinque.

Uno sguardo fu sufficiente come risposta; era stata una dura estate per entrambi.

La mattina dopo alle 10 erano già in un'agenzia viaggi di una loro amica di bevute notturne e, almeno con Gory, di scopate selvagge.  

- Lo so - cercò di spiegare la bionda Samanta - il nome Ibiza evoca discoteche, confusione, sesso, droga, tutta roba che avete qua dodici mesi all'anno e da cui volete fuggire...

I due si guardarono con occhi da silenzio assenso, rivolgendosi poi a lei, sempre zitti, con quella faccia che dice inequivocabile "e allora?".

- Vi mando in un grazioso paesino del nord dove vi sembrerà di essere in paradiso.

Detto fatto, quel fine settimana, dopo un breve volo aereo, si ritrovarono con una bella macchina a noleggio, il pieno di benzina ed una cartina in mano.

- Samanta aveva ragione da vendere - sorrise Pulpy mentre parcheggiava l'auto nel centro di San Carlos de Peralta, a fianco della tipica chiesa in muratura bianca stile Messico, con fiori rampicanti viola dal nome sconosciuto che ne rallegravano il muro laterale. 

Dopo aver sistemato i pochi bagagli nell'appartamento in affitto scesero per visitare quel piccolo e tranquillo paese nella parte nord orientale dell'isola. 

Sulla strada poco trafficata, in piena curva, c'era un baretto carino che poi scoprirono essere frequentato anche e soprattutto da vecchi hippy o hippie che dir si voglia, sbarcati negli anni '70 e mai più ripartiti.

Dopo una bella bevuta si fecero preparare dei gustosi panini con formaggio e salumi locali, misero quattro bottiglie di birra nella borsa frigo e si diressero verso Portinax.

La strada costeggiava un mare blu intenso, a tratti semi nascosto da una tipica vegetazione mediterranea, mentre il vento, ospite quasi sempre presente e gradito, accarezzava i loro visi lieti.

- Una specie di aria condizionata naturale - disse Gory, che se la godeva un mondo, nella parte del malato servito e riverito dall'amico autista.

Si fermarono in una spiaggia, poco lontano.

Il tempo di posare l'armamentario balneare e di spogliarsi e si tuffarono in quell'acqua limpida, calda, accogliente, spruzzandosi a vicenda, Gory naturalmente con un braccio solo.

Più che criminali e killer incalliti sembravano ragazzi alla fine della scuola.

- Finalmente a mollo! - esclamarono in coro.


venerdì 24 maggio 2013

Chiamatemi Mario...

di Roberto Scudeletti





Il mio nome è… eh no, chiamatemi Mario.
Sono uno studente di una squola superiore di Roma.
Non insistete però, non vi dirò indirizzo, classe e sezione neppure sotto tortuga, è questione di privaci; no, non prima C, ho detto che non ve lo dico!

La mia situazione è grave, sono insufficente di quattro materie, ma è la quinta, la fondamentale, che sono in condizioni pietose, che altrimenti la situazione non fosse così grave, magari che invece di segarmi mi rimandassero solo.
Come, non avete ancora indovinato di quale materia si trattasse?
L’itagliano, naturale!

I guai non rivano mai da soli, si sa.
I miei genitori o come si dice in America mai parenz minacciano di staccarmi il cordone ombelicale che mi lega all’essenza essenziale della vita, degli amici, cioè il mio inseparabbile cellulare.
Allora io ho minacciato di buttarmi di sotto, ma forse perché abbitiamo al primo piano non mi hanno filato per nulla.

Per fortuna ho appuntamento a Piazza Navona con alcuni dei miei compagni più affidati, tra cui lo Schizzo, il Razzo e Mortadella, che nonostante il nome femminile è un maschio molto ciccio, da cui il soprannome perché mangia sempre, soprattutto insaccati misti inframmezzati a panini giganti stile pane francese, come si chiama, uhm mi pare baghet, sì proprio quello.

Più si avvicina la fine della squola più mi pentisco di non aver studiato, soprattutto l’itagliano che potevo farmi dare ripetizioni dalla mia compagna Isabella detta Brufolina che dicono tutti che si è presa una infartuazione per me e che quindi per questo motivo me l’avrebbe data subito, non capisco se la ripetizione o quell’altra cosa, che a me mi piace tanto anche se sono ancora vergine, ma non da lei.

<<Ciao raga come stiamo?>> faccio io ai tre moscattieri e Razzo immediatamente con la sua parlata veloce come tutte le cose che fa risponde subbito: <<Che se mi segheranno anche a me rischio che sarebbe meglio che emigrassi in Tunisia, prima che mio padre mi acchiappasse con la sua cinghia di vero cuoio cinese da due euro!>>.

Insomma era il tormentone dell’imminente estate, come avessimo fatto a fuggire dalle ire anche raggionevoli dei nostri parenz per goderci il dolce fancazzismo e magari se si riusciva pure a scappare al mare a Ostia o Fregene dove ci si poteva scottare la pelle color stracchino che poi sarebbe diventata rosso aragosta; roba che se torneressimo con l’insulinazione i genitori oltre a menarci per la squola ci menassero pure per questo.

E siamo solo alla prima superiore. La crisi ci impedisce di lavorare. La mancanza di voglia di studiare ci impedisce di andare avanti a squola. Ma che cazzo di futuro aspetterebbe a noi poveri adolescenti, che poi se non ci divertissimo a questa età quando di divertiremo?

Quindi, lasciatemi stare che ciò le palle girate, chiamatemi pure Mario, ma non rompetemi i coglioni!

domenica 5 maggio 2013

War Pigs

di Roberto Scudeletti



Avevo diciassette anni nel 1965 e vivevo in una fattoria nel sud degli Stati Uniti, dove mio padre possedeva un grande allevamento di maiali. Mia madre era una porca.

Una sera mentre il cornuto si era addormentato sul divano della cucina, ubriaco, lei s’infilò nel mio letto. Iniziò a strofinarsi contro di me, incredulo e perciò immobile. La sua mano s’inoltrò sotto i pantaloni del pigiama, in cerca di una dura risposta. L’unica cosa che si alzò fu il mio intero corpo, finalmente colpito da una scarica di adrenalina scioccante; fu l’ultima volta che la vidi.

Mi nascosi nella mansarda, dietro una pila di scatoloni di cianfrusaglie. Attesi di udire la porta della camera matrimoniale sbattere lievemente e ritornai nella mia. La notte stentò a tramutarsi in mattino, riuscii anche a sentire il passo strascicato del babbo sulla scala; solo verso l’alba di quell’estate maledetta mi addormentai.


La colazione fu silenziosa. <<Dov’è la mamma?>> chiesi, alla fine. <<E’ uscita presto con l’auto, sarà andata in città>> furono le uniche parole. Le vacanze da scuola per me consistevano nel dare una mano con i maiali, i compiti erano relegati dopo il tramonto, gli amici solo il sabato sera, se non lo facevo incazzare, altrimenti giù botte.

Rientrai a casa all’ora di pranzo per bere l’acqua ghiacciata dalla bottiglia in frigo, ma di lei ancora nessuna traccia, a partire dal parcheggio deserto. Ritornai nell’allevamento alla ricerca di mio padre per avvertirlo; per la prima volta lo vidi con un’ombra di preoccupazione sul viso.

<<Ieri sera avete litigato?>> mi domandò. Sorrisi scrollando la testa; sapeva che ci amavamo, anche se nessuno di noi due avrebbe potuto immaginare fino a che punto.

Verso sera squillò il telefono. Andò lui e una lacrima rispose al mio sguardo interrogativo. Al funerale di mia madre entrambi non riuscivamo a smettere di piangere. “Si è suicidata per colpa mia?” mi chiesi, stupidamente. Decisi di mantenere il segreto dentro di me.



Cinque anni dopo mi ritrovai ancora vergine ad affrontare le occhiate curiose e maliziose delle ragazze, quando andavo in paese a far provviste. Per non pensarci mi rifugiavo nel lavoro e, la sera, consumavo sul giradischi album di rock duro con le cuffie incollate alle orecchie.

Non avevo mai praticato l’autoerotismo; il sesso era rimasto materia congelata, dopo quella tragica sera. Un giorno il destino decise di cambiare tutto.

<<Ciao Paul, come stai? Sono Lucy, andavamo insieme a scuola, ricordi?>> squillò una voce femminile alle mie spalle mentre caricavo di viveri il pianale del furgone. Girandomi vidi un volto lentigginoso, con occhi azzurri, capelli biondi e una mano tesa verso di me. Gliela strinsi in maniera molliccia, sussurrando un impacciato “Beh no” che rilevò la mia timidezza. Lei invece fu molto intraprendente. <<Ho voglia… di vedere dove vivi>> mi propose, dopo poche chiacchiere mentre terminavo il lavoro. <<Mi fermo a una cabina, così avverti i tuoi?>> le chiesi io, mentre eravamo già partiti. <<Non serve, ho già detto che dormo da un’amica fidata. E lei non sa, dove vado… e se torno stanotte, ma mi copre sempre>> m’informò, maliziosamente.

Parcheggiai vicino al magazzino, lei scese guardandosi attorno, mentre Jack, l’aiutante nero della fattoria, iniziava a scaricare la roba dal furgone portandola al magazzino.

La visita ci portò velocemente al tramonto e una brezza gelida spinse i nostri corpi a rifugiarsi nella cucina riscaldata da una grande stufa a legna, accesa da mio padre. Una pignatta sul fuoco stava cucinando la minestra di verdure del nostro orto per la cena. La tavola era già apparecchiata per quattro.

Jack lavò velocemente i piatti e si ritirò subito nella casupola tra la nostra casa e la stalla dei maiali. Io presi per mano Lucy. <<Buonanotte>> si rivolse a mio padre che aveva preso possesso del divano del salotto e della solita bottiglia di whiskey, sua compagna abituale per gran parte della notte. Un grugnito, molto simile a quello di un suino, fu la risposta. <<Deformazione professionale>> le sussurrai sulle scale, facendole uscire un risolino soffocato da una mano sulla bocca.

Arrivammo al piano di sopra. <<Questa è la camera degli ospiti>> le dissi aprendo una porta. <<E questa è la mia>> aggiunsi subito dopo, con un tono quasi indifferente, neutro, mentre dentro di me tra cuore e nervi si era stabilito un collegamento elettrico capace di far girare la metropolitana di New York, anche se non ci ero mai stato in vita mia.

Mi gettò sul letto incominciando a spogliarmi, partendo dai pantaloni. Stava anche parlandomi, ma non sentivo nulla, perché dalle nebbie del passato ritornò fulmineo e violento, come un pugno nello stomaco, il ricordo di mia madre. <<… tua madre…>> sentii dirle. “Che mi legga nel pensiero?” fu la mia reazione immediata.

La guardai, mentre maneggiava il mio pene, flaccido come un lombrico e incapace di soddisfare qualsiasi femmina. <<… so tutto di te e tua madre, lei scappò e si rifugiò a casa nostra, ma si confidò solo con me, prima di farla finita. E ora capisco il danno che ti ha fatto. Mio povero, caro Paul>>.

E mi abbracciò con le sue lacrime che mi bagnavano il collo. Io rimasi impietrito. Ma non per molto. Tutto l’odio che nutrivo per mia madre, per quello che aveva tentato di fare, per quello che mi aveva provocato, per avermi lasciato da solo ad affrontarlo, tutto ciò esplose dentro di me.

Le donne per me erano diventate un nemico da punire, tutte, a iniziare da questa maledetta pettegola che conosceva il mio segreto. Afferrai la troia per le spalle e mi alzai spostando entrambe le mani sul suo collo, stringendo sino a farla svenire. Non doveva morire, non subito. Voleva un bel cazzo? Lo avrebbe avuto, anche se non il mio.

Svegliai Jack e lo condussi senza spiegazioni nella stalla dei maiali, illuminata da tenui neon dalla luce blu. Vide subito la donna inanimata, supina su un telone di plastica e mi rivolse uno sguardo interrogativo.

<<Ogni settimana nel giorno libero te ne vai a puttane in città, vero o no?>> gli dissi con un tono diverso, maligno e disinvolto. <<Sì, capo>> rispose mostrando i suoi denti bianchissimi in un sorriso voglioso. <<Questa volta te ne ho portata una a domicilio. Una gran troia che vuole il tuo cazzone nero>> gli spiegai, battendogli una mano sulla spalla massiccia.

<<Ma era a cena con lei, pensavo fosse la sua ragazza…>>. Un ceffone scalfì appena la sua postura da atleta, mentre mi trattenevo dall’urlare. Dissi invece con voce piatta: <<Da oggi le ragazze m’interessano solo per punirle perché sono tutte grandi troie fottute e tu sarai il mio boia. In cambio prima te le farò scopare, poi le taglieremo a pezzi e le getteremo in pasto ai maiali. Sono stato chiaro?>>.

Avevo salvato Jack dal carcere duro e dalle violenze degli altri detenuti, garantendogli un solido alibi in un caso di stupro e omicidio di una studentessa universitaria, tre anni prima. Non potevamo permetterci di perderlo, anche se non ero sicuro che fosse innocente. Allora sentivo che in futuro avrei potuto chiedergli in cambio di buttarsi nelle fiamme dell’inferno per me. E quel momento era giunto.

Senza aggiungere una parola si spogliò completamente nudo, mentre io con piccoli schiaffetti svegliai Lucy per il suo ultimo viaggio. Aprì gli occhi e quando si accorse di essere sormontata da un enorme fallo eretto, che evidentemente dal basso pareva ancora più grosso, tentò di urlare e di muoversi. I polsi erano legati ben stretti dietro la schiena, lo stesso le caviglie e sulla bocca un bavaglio le impediva di emettere suono, lasciando libere solo le narici per respirare.

Jack era sempre più arrapato. Scopare una troia a pagamento era un conto, violentare una ragazza ribelle era un altro. “Le donne sono tutte zoccole, però anche gli uomini quando ci si mettono sono peggio dei miei maiali” pensai in quel momento.

Al primo affondo lei tentò ancora di opporsi, ma dopo le successive spinte impetuose dentro il suo sesso fu come fosse già morta, un cadavere che freddamente accettava la sua sorte, inesorabile.

Jack invece ci prese gusto e le sbottonò la camicetta, rivelando due seni sodi e grandi che si divertì a premere, schiacciare, palpare, mentre si alzava e abbassava tra le sue cosce. Iniziò a fare quello che fanno gli infanti e gli uomini libidinosi, succhiandole i capezzoli sino a farli ergere, come mammelle di vacca. Solamente che il latte uscì invece dal suo orgasmo spargendosi su tutto il corpo della femmina tramortita, come la schiuma di una cascata in piena.

Si rivestì mentre io tolsi il bavaglio dalla bocca di Lucy per udire la risposta al mio esecrante “Ti è piaciuto puttana?”. Che non poteva arrivare alle mie orecchie, perché non m’interessava e soprattutto perché le stavo stringendo al collo una corda spessa; lo schiocco di carotide e trachea interruppe il sadico gioco.

Nella sala di macellazione avevamo tutta l’attrezzatura necessaria e così la gettammo a pezzi in pasto ai maiali adulti che la divorarono tutta, ossa comprese; sarebbe diventata un salume pure lei, seppure indirettamente. Fu la prima di una lunga serie.

<<Perché lo fai, capo?>> mi chiese Jack dandomi oramai del tu, una volta che stavamo tagliando a pezzetti una ballerina di lap dance. La sapevo sola al mondo e perciò l’avevo rimorchiata con la scusa di un extra in dollaroni fruscianti.

In cambio del suo silenzio e della collaborazione ero io ora a offrirgli la chiavata settimanale e lui mi sostituiva nell’opera preliminare di violenza prima della punizione finale. Non volevo svelare a nessuno il segreto di mia madre, solo mio padre sospettava che potessi entrarci io, ma senza mai arrivare neppure a sognare fino a che punto.

<<Fatti i cazzi tuoi che stavolta l’hai pure sodomizzata, non ti basta?>>. In fondo mi era rimasto un po’ di animo gentile; infatti le avevo unto il buchetto con un unguento da noi prodotto, a base di grasso di porco. Purtroppo l’enorme attrezzo glielo aveva fatto sanguinare ugualmente.

Una mattina verso le undici presi il furgone e mi recai in città per fare un giro al negozio di dischi. Il proprietario non c’era. Al suo posto una ragazza mi salutò con un sorriso dalla dentatura perfetta: <<Buon giorno, benvenuto. Sono Sally, la figlia di Tom. Purtroppo lui è a letto con una brutta tosse e mi ha chiesto di sostituirlo>>.

Non mi ricordavo di averla mai vista prima. Le tesi la mano, osservandola. <<Piacere, mi chiamo Paul>>. Lei stinse la mia dal bancone, rivelando un fisico snello con curve giuste al posto giusto. “Piacerebbe a Jack” pensai subito.

Mi avviai nel reparto heavy metal e iniziai a sfogliare i trentatré giri negli scaffali. <<E’ arrivato il secondo album dei Black Sabbath direttamente dall’Inghilterra, li conosci?>> mi chiese lei da dietro, quasi spaventandomi. <<Sono tra i miei gruppi preferiti>> le risposi infastidito. <<Vieni che ti faccio sentire una canzone>> mi sorprese, portandomi al giradischi vicino alla cassa.

Le note di War Pigs e la voce di Ozzy mi rapirono, facendomi estraniare dal luogo in cui mi trovavo; mi pareva di essere sotto l’effetto di uno degli spinelli che ogni tanto Jack ed io ci sparavamo quando il mio vecchio ronfava sbronzo.

Uscii con l'album in mano, riconoscente alla figlia di Tom e alla sua malattia. “Cazzo è da tanto tempo che non pensavo bene di una troia di femmina” pensai guidando verso la fattoria. Non vedevo l’ora che venisse sera per ascoltare tutto l’album “Paranoid”.

Passarono i mesi e la febbre di Tom si rivelò qualcosa di peggio, che gli fece raggiungere gli angeli in cielo o i demoni all’inferno, a discrezione del padreterno.

La figlia gli subentrò trascurando per un po’ gli studi universitari, mentre stava formando una commessa a sua immagine e somiglianza, cioè una vera intenditrice di musica, in tutti i generi possibili, con una particolare attenzione per i dischi d’importazione.

Il negozio divenne così un punto di riferimento per i giovani della zona; incominciai a considerarlo un appuntamento fisso come minimo settimanale. Mi deliziavo con una lunga chiacchierata, per quanto possibile, sulle ultime novità. E Sally la trovavo, stranamente, piacevole.

Una di quelle volte, senza sapere come e perché, la invitai fuori per un panino e una birra. Lei accettò immediatamente, come se non aspettasse altro. Bevve una coca ma ci diede dentro con salciccia, uova, salse varie e latte; del resto era talmente in forma che poteva permetterselo. <<Qual è il tuo disco preferito, allora?>> mi chiese tra un boccone e l’altro. Io sapevo che il suo era l’ultimo dei Led Zeppelin, un'altra band di oltre oceano che stava spopolando anche qui con concerti dal vivo sempre esauriti. <<Paranoid dei Black Sabbath, il nostro primo disco>> le sparai, spontaneamente. Lei mi prese le mani tra le sue, dolcemente, dicendomi: <<Che romantico…>>.

Fu un inizio così soave che proseguì tra timidi baci e abbracci, senza mai sconfinare nel sesso. Sesso che invece Jack proseguiva a esercitare sia fuori sia dentro la fattoria. Ogni tanto una nuova vittima forniva cibo umano ai miei suini che avevo ribattezzato War Pigs, maiali da combattimento, feroci e onnivori animali divoratori, in onore della mia canzone favorita.

Il giorno del suo compleanno Sally lasciò da sola la commessa nel negozio e venne a trovarmi, per la prima volta, alla fattoria, tra i soliti grugniti di mio padre e l’apparente indifferenza di Jack.

Dopo pranzo stavamo seduti sul dondolo nel portico. <<Tra poco parto e vado in città, ma poi torno>> le dissi. <<Spero bene, stasera festeggiamo il mio compleanno! Tra poco mi metto a fare la torta. Che cosa vai a fare?>>. Risi di gusto, per la prima volta dopo tanto tempo. <<Sorpresa!>> le dissi. Volevo andare al suo negozio per regalarle il doppio dal vivo dei Led Zeppelin, ma poi pensai che fosse un’idea ridicola e preferii un profumo alle rose, dolce come lei.

Tornai che era buio, in un gelido tardo pomeriggio d’inverno, con i fanali accesi a illuminare l’aia scura. Scesi e trovai mio padre solo. <<Dov’è Jack?>> gli chiesi. <<L’ho visto uscire da casa>> rispose senza guardarmi in faccia.

Spalancai la porta d’ingresso e trovai cucina e salotto vuoti. Lo stesso al piano di sopra. Corsi di sotto e trovai la torta che stava cuocendo in forno. “Dove cazzo sono quei due?”.

Tra la casupola, il magazzino e la stalla degli “war pigs” scelsi quest’ultima. Aprendo la porta udii un gemito leggero. La scena che stavo guardando mi paralizzò.

<<Ciao, capo te l’ho fatta trovare pronta, contento?>> chiese Jack col suo solito sorriso lucente. Per fortuna indossava ancora i pantaloni.

<<Che cosa ti salta in testa minchione?>> urlai senza ritegno.
Lo sguardo del gigante d’ebano si fece serio, dubbioso e poi cattivo.

Gli occhi emanavano spirito di ribellione. “Siamo nei guai, amore” pensai voltandomi verso di lei, imbavagliata, legata e, bastardo, nuda e pronta all’uso.

Lui si toccò il pacco gonfio con la sua manona e sorrise. <<Pensavo che fosse come tutte le altre, capo, una troietta per me da scopare e per te da massacrare. Non mi dire che questa è la tua fidanzata?>>.
Era la frase più lunga che gli avessi mai sentito pronunciare e con un tono che sapeva di presa per il culo, mentre sino a poco prima avevo creduto che fosse veramente una sua incomprensione. No, cazzo, lui aveva capito che lei era importante per me e che poteva rovinare il nostro giochetto, per sempre. Il suo atto era di difesa.

<<Aspettami qua, non fare un passo>> gli ordinai.

“Povero coglione” pensai, mentre mi recavo a casa nello studio dove tenevamo sottochiave l’armadio blindato delle armi. Tornai con il fucile carico e lo trovai che stava leccando il collo all’unica donna che non mi aveva deluso.

<<Alzati Jack!>> gli intimai e appena obbedì gli sparai alla schiena facendolo roteare su stesso e precipitare a terra, in un lago di sangue. Questa volta fu lui a fare la fine delle sue vittime.

La mattina dopo mentii a mio padre dicendogli che lo avevo licenziato perché sorpreso a rubare a casa nostra, senza specificare altro. Lui, senza fare domande, scosse la testa replicando: <<Trovane un altro al più presto, che da soli non ce la facciamo a mandare avanti la baracca>> e se ne andò al lavoro sui campi. Non sapevo se l’aveva bevuta; a me andava bene così.

Ero stanco morto per la nottata passata a disfarmi del cadavere di Jack, naturalmente dato in pasto ai miei maiali da guerra, e a pulire i segni della sparatoria nella stalla. Decisi di tornare a letto.

Aprii la porta e trovai Sally che mi guardava seria dal letto. Dormimmo abbracciati. Le avevo confessato tutto come un fiume in piena che ha rotto gli argini, compreso il mio amore per lei; avevo ottenuto il suo perdono e la sua complicità.

Ci svegliammo poco prima di mezzogiorno. Stavo per scendere in vista del ritorno del mio genitore, ma lei mi fermò, decisa. Salì a cavalcioni sopra di me e puntò quegli occhi verde smeraldo nei miei dicendo: <<Anch’io ti amo>>.

Un brivido caldo partì dal mio volto e per la prima volta percorse tutto il mio corpo sino a raggiungere la parte più impensata. Lei se ne accorse e mi baciò prima sulle labbra e poi incominciò a scendere, veloce. Raggiunse il mio ombelico e scese ancora, baciando con la punta della lingua umida i miei interno coscia, causandomi un ulteriore ondata di calda eccitazione.

Con la testa si spostò al centro e abbassò la bocca verso il mio cazzo che, miracolosamente, rispose a tutti i suoi stimoli erotici ergendosi a vita nuova.

Feci l’amore per la prima volta. E non fu una delusione, tutt’altro. Anche il suo sesso era eccitato, bagnato e accogliente, senza bisogno di alcuna forzatura o guida.

L’incastro fu immediato e i nostri due corpi si fusero in uno, accoppiando il ritmo che da lento divenne frenetico, senza freni e ostacoli, verso una corsa all’orgasmo che giunse inaspettato, almeno per me, come una liberazione attesa per tutti quegli anni.

Il ricordo del lieto fine di questa sporca storia sta ora funzionando da consolazione, da calmante, in attesa che i miei carnefici arrivino tra pochi minuti. Mi condurranno nella stanza per l’iniezione letale cui sono stato condannato, dopo anni di carcere nel braccio della morte di questa prigione federale. 


venerdì 5 aprile 2013

GORY TEX & PULPY FIX Episodio 8 "Profumo di rosa e... fritto misto!"





Ogni tanto succedeva. Pulpy Fix si stancava delle solite bagasce e si intrippava di una donna "normale", di solito libera, separata o divorziata. 

L'importante era che non si affezionasse. E che non facesse troppe domande sul suo lavoro, soprattutto ora che i traffici su commissione andavano a gonfie vele. Grazie alla collaborazione col suo amico di sangue Gory Tex.

Pranzò da solo in una trattoria di altri tempi, nei vicoli del centro storico; uno di quei posti dove la cucina è a vista, le tovaglie sono di carta a quadretti, come i tovaglioli, i bicchieri di vetro spesso e pesanti, gli odori ti avvinghiano e ti penetrano nei capelli e nei vestiti.

Era venerdì e il menù prevedeva pesce fritto, di tutti i tipi, dalle acciughe ai totani o calamari, ai gamberetti; tutto fritto, come un profumo che ti spruzzi su tutto il corpo e ugualmente puzzi, come dopo una sudata, una corsa o una scopata.

Saldato l'onesto conto di dieci euro all'anziano cameriere vagò senza meta, attendendo il tempo dell'appuntamento con una nuova conquista; percorse il selciato di pietra grigia che ricopriva le viuzze, tra negozi nostrani ed etnici, tra portoni aperti su antiche scalinate di palazzi vetusti e ingressi di case chiuse, per clienti frettolosi di sesso a pagamento.

Sbucò su Piazza Caricamento, sulla quale si affacciavano altri palazzi di antichissima memoria, con i portici di Sottoripa, ricchi di negozietti dove potevi trovare dalla pistola ad aria compressa alla focaccia ripiena di prosciutto o salame, a fare da bazar a cielo chiuso, come il carattere dei pochi genovesi rimasti.

Poco più avanti palme e panchine segnalavano l'inizio del Porto Antico, riportato a nuovi splendori con le nuove strutture turistiche, l'Acquario di Genova in primo piano, con la coda di lunghezza ben inferiore ai giorni festivi; guardare tutta quella gente una dietro l'altra come pecoroni faceva pensare un "imbecilli" a Pulpy, che per carattere odiava attendere, preferiva fare aspettare.

Sorrise al pensiero che per una volta era addirittura in anticipo, ma il motivo valeva l'eccezione: un bel pezzo di gnocca, conosciuta per caso al bancone di un bar poco lontano, in una sera piovosa, mentre celebravano un originale addio al celibato di un comune amico gay, che stava per andare a convivere con il suo personal trainer. 

"Belin, certe volte ha ragione Begnini quando dice che la vita è bella" pensò Pulpy, con ancora stampato sul volto un sorriso da ebete rincitrullito. 

Appoggiato alla ringhiera nei pressi dell'ingresso di palazzo San Giorgio si rese conto che non era cosa buona e giusta essere così spensierato, sia a causa della sua condizione di criminale spietato ed assassino che non cercava complicazioni sentimentali sia, e soprattutto, perchè la donzella in questione risultava single, quindi potenzialmente accalappia marito.

"Bando agli indugi, una bella becciata e via" si disse andando verso di lei, che nel frattempo era arrivata, con un incedere provocante, per via di una quarta misura tendente alla quinta per nulla trattenuta alla vista dal suo scollacciato abbigliamento.

Le diede due baci veloci sulle guance e notò due cose: con l'olfatto il profumo di rose, con lo sguardo una smorfia non appena si era allontanato dal suo corpo. 

<<Che succede?>> le chiese diretto. 
Lei altrettanto chiara rispose: <<Puzzi di pesce fritto da morire>>, sorridendo come compensazione.

Nonostante questo fastidioso particolare, che contrastava col suo profumo di donna in fiore, riuscì a portarla via con la sua nuova fiammante Alfa rigorosamente rossa, intestata ad una società di comodo di un boss della Riviera di Levante. Si trovava parcheggiata nel garage sotterraneo dietro la centralissima Via Venti Settembre, poco lontano dall'odiato Tribunale e questo fatto concesse ai due una tranquilla lunga passeggiata condita da piacevoli discorsi per nulla impegnativi, leggeri, come la loro recente trombamicizia.

Saliti a bordo la condusse nel parcheggio di un grande centro commerciale nell'entroterra genovese, violentato da cemento e traffico, nel nome del sacro consumismo, nonostante la crisi economica in atto.

Per fortuna durante gli scavi dell'enorme complesso avevano lasciato una via cieca che terminava su cumuli di terra e spazzatura e in quel romantico posticino decise di parcheggiare per porcheggiare con la signora pettoruta.

Mise la pistola di ferro nella tasca della portiera per avere maggior libertà di usare quella di carne. Chiuse le due portiere e con equilibrismo si fiondò nei posti dietro, dove lei aveva già iniziato la veloce fase di svestizione.

Le poppe debordanti da un reggiseno viola coi bordi pizzati gli fecero erigere il fratellone verso alte vette che i jeans non riuscirono a contenere.

Le fu addosso. Questa volta anche lui riuscì a sentire il miscuglio di profumo di rosa e di fritto misto e gli venne quasi da vomitare. Si pentì di non averla portata a casa sua, per penetrarla dopo una doccia al denim stile vero macio.

Ugualmente lei si accucciò vogliosa per assaporarlo con esperienza. Un paio di volte rialzò la testa schioccando la lingua, soddisfatta. "Almeno questo non sa di pesce fritto vero?!" pensò lui, godendo come un bimbo col dito nella nutella. Non fece in tempo a fare altro.

Una pioggia di vetri invase l'abitacolo con un fragore di metallo. Tre energumeni tirarono fuori i due corpi seminudi. Menarono lui, che non riuscì ad arrivare all'arma, paralizzato da pugni e schiaffi che arrivavano da ogni direzione, come una continua carneficina.

Stuprarono lei, a turno, protetti da un complice che aveva messo un enorme furgone di traverso sulla viuzza, nascondendo la scena alle poche auto che passavano da quella remota zona alle fine del parcheggio.

Alla fine Pulpy si sentì una merda vivente, un cazzone pieno di sè che non riusciva a proteggere neppure una donna indifesa. La rabbia si tramutò in sete di vendetta. E di sangue.

Riuscirono a sistemare con le palanche tutti i danni fisici e materiali, mentre quelli morali erano impossibili da cancellare con un colpo di biglietti da cento euro. 

A parziale consolazione offrì alla donna due settimane a Capo Verde, pagando il viaggio all inclusive anche alla sua migliore amica.

<<Prendili e fagliela pagare>> chiese decisa lei all'aeroporto Cristoforo Colombo.

<<Te lo devo e ti giuro che ci riuscirò, spero prima che torni>> promise lui.

Con l'aiuto di Gory Tex, si misero a battere a tappeto tutte le conoscenze criminali comuni e alto locate, presso cui loro due erano conosciuti ed apprezzati come affidabili professionisti e meritevoli quindi di ogni aiuto possibile.

Presto uno dei boss locali avrebbe potuto avere bisogno di loro.

Fu uno di essi a dare l'imbeccata giusta.

Una delle notti successive il vento di ponente non dava tregua, increspando di schiuma le onde del mare, argentate dalla luce della luna piena e facendo rabbrividire i pochi passanti nelle strade della città semi deserta.

Decisero di agire da soli, loro due contro i tre pezzi di letame, piccoli delinquenti indipendenti che stavano rompendo i coglioni anche agli altri criminali della zona tra Cornigliano, Sampierdarena e Bolzaneto.

Avrebbero fatto un ripulisti approvato da tutti, probabilmente sbirri compresi.

In realtà non erano soli. Avevano con loro due bei pistoloni corredati da altrettanti silenziatori, rigorosamente privi di matricola. 

La lezione doveva essere fulminea, ma qualcosa tratteneva Pulpy.
Era il ricordo del doppio sgarro, la violenza a lui, ma soprattutto alla sua nuova fiamma, probabilmente già potenziale ex, senza loro colpa.

La colpa sarebbe stata dei tre maiali, da smacchiare con una adeguata punizione, che non poteva essere limitata a tre pallottole nei punti vitali del corpo, preferibilmente la testa, meglio la nuca. 

Gory così voleva, un lavoro pulito e rapido, quasi indolore, ma capiva le esigenze vendicative dell'amico e un fratello di sangue andava capito, rispettato e accontentato.

Appena uscirono da un night nei pressi del porto si ritrovarono sotto il naso le due pistole allungate dai cilindri metallici e uno di loro iniziò a correre, ma la fuga durò lo spazio di uno sparo sordo, che lo fece accasciare al suolo, con un sottile rivolo di sangue al polpaccio destro.

Gli altri due, sotto la minaccia di altro piombo sottovoce, lo caricarono nel retro di un furgone e lo seguirono; gli sportelli furono chiusi con chiave e lucchettone.

Furono fatti scendere in una banchina deserta, lontana da videocamere di sorveglianza, sul molo usato di solito da un amico trafficone di Gory e Pulpy.

Salirono su una vecchia motonave, una dei pochi rottami del mare che vengono ancora utilizzate ungendo liquidi per i permessi, per un occhio anzi entrambi chiusi, per controlli omessi, per timbri regalati senza averne diritto.

I tre avevano riconosciuto Pulpy e si guardavano intorno, con la speranza di poter fuggire, anche a costo di buttarsi in mare e nuotare, mente la motonave stave prendendo il largo verso la diga foranea, una barriera artificiale che delimitava e proteggeva il porto dalle mareggiate.

Si ritrovarono in mare aperto senza che le braccia armate dei due amici dessero segno di cedimento. Anzi, un sorriso assassino precedette l'inizio della mattanza. 

Due colpi alla cosce fecero sdraiare i due rimasti in piedi per terra a fianco del ferito, doloranti, sanguinanti, bestemmianti. 

Le armi cambiarono. Spuntarono scimitarre arabe. 
I corpi divennero pezzi a sé stanti. 
E finirono con pistole e silenziatori in fondo alla acque scure e salate, gettati in sacchi di pietre nelle profondità del Mar Ligure.