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mercoledì 19 gennaio 2011

La Scelta Finale



di
Roberto Scudeletti




Prologo

In un pomeriggio di fine settembre un’auto si mise in coda.
La persona alla guida cercava di alleviare la profonda ansia con un sorso di the freddo.

Entrò nel tunnel circondata da spazzole rotanti e spruzzi d’acqua che aumentarono il senso di oppressione.
         All’uscita potenti phon asciugarono le piccole gocce, tranne le lacrime che rigavano il suo volto.
L’addetto passò svogliatamente un vecchio panno su carrozzeria e vetri, in attesa del pagamento.
         Pochi istanti e l’uomo in tuta avvicinò il viso al vetro, posò la mano sulla maniglia, indeciso.
         L’arrivo dell’auto successiva impose un’azione immediata.
Aprì la porta del conducente. Era immobile con gli occhi spalancati.
              


          1. Palestra

          Circa un anno prima Alberto stava salendo su una bike in palestra. Seguiva un circuito di pesi e fitness, senza trascurare le pubbliche relazioni con frequentatrici simpatiche e disponibili.
         Era un uomo piacente, trentacinque anni, viso da adolescente, corpo magro e scolpito.
         Sposato senza figli con Lucia, dieci anni più di lui, amministrava la ditta della moglie che, grazie all'eredità del padre, lo manteneva.
         Appena iniziato a pedalare il suo sguardo fu attirato dalla vicina alla sua destra, che stava sfogliando una rivista di viaggi.
<<Belle le isole Baleari, vero?>> chiese sporgendosi verso di lei. Era certo di non averla mai vista prima, vivendo in un paese dove si conoscevano tutti.
         <<Adoro il mare e le isole in particolare, anche lei?>> rispose la donna.
         Abitava in un paese a soli dieci minuti di auto dalla palestra, che aveva iniziato a frequentare proprio quel giorno.
         Alberto puntava alle sue coetanee ed alle fanciulle ventenni. Scoprì con sorpresa che la bella Silvia aveva cinque anni più di lui e rivalutò il fascino delle quarantenni.
Fu l'inizio di un’amicizia che presto si trasformò in amore reciproco.
Anche lei aveva famiglia, due figli ed un marito.
Antonello, con il quale gestiva un negozio di animali, era possessivo, sospettoso e geloso.
        

          2. Hotel

         Un anno dopo decisero di festeggiare il loro primo anniversario con una serata in hotel, dopo tanti incontri pomeridiani.
Gli impegni ufficiali erano una cena di lavoro per lui e una pizza per lei, in compagnia della sua migliore amica Benedetta.
         Lui le attendeva in un parcheggio vicino alla stazione, deserto a quell’ora.
Per rendere più realistica la messinscena Silvia era andata in auto a casa di Benedetta e si era fatta accompagnare dall’amica.
Dopo un breve saluto le amiche si separarono.
         La donna lo guardò timidamente e lui le accarezzò una guancia, sussurrandole: <<Mi sembra di essere un ragazzino alla prima cotta>>.
         Gli occhi di lei luccicarono di tenerezza, in una maniera talmente speciale che ogni volta lo facevano impazzire di desiderio.
<<Vale lo stesso per me, amore>> fu la risposta di Silvia, accompagnata da una carezza sulla nuca.
Era una donna in apparenza solare e sportiva, che in profondità si rivelava quasi inaspettatamente riservata e concreta, romantica e sensuale nella stessa misura.
Le aveva proposto di cenare prima, ma aveva risposto: <<Scherzi? Sarebbe tempo sprecato! E se poi ci vede qualcuno?>>.
Il suo timore si avverò all’uscita dell’hotel.


3. Negozio

         Tre giorni dopo Silvia tornò al negozio nel pomeriggio, dopo aver aiutato i figli con i compiti. Il marito la accolse serio e muto.
Percepì che qualcosa era successo e si agitò, per la prima volta dopo tanti anni.
Sembrava che nessuno dei due volesse dire nulla.
<<Cos’hai?>> non resistette lei.
<<Verso le quattro è passato Martino…>>.
Non sapeva se rifiatare o aspettare il peggio.
Martino era solo un amico, ma ficcanaso ai limiti della decenza ed infatti…
<<… e mi ha raccontato una bella storia su due amanti ed un hotel, dal nome di un fiore>>.
L’accenno al nome del fiore fu un colpo.
“Orchidea” pensò lei, mentre lui lo gridò: <<Orchidea, Hotel Orchidea, sabato sera, la pizza con Benedetta!>>.



4. Parco

La settimana seguente Silvia accompagnò i figli a scuola e chiamò il marito col cellulare <<Sono io. Vado a prendere da mangiare per gli animali. Tornerò verso le dieci>>.
In risposta ottenne solo un tacere glaciale.
Pur sapendo di essere lei dalla parte del torto pensò senza dirlo “Stronzo!”.
Tirò fuori dalla borsa il secondo cellulare e chiamò Alberto, che lavorava nella zona dove si rifornivano per il negozio.
<<Tra venti minuti al solito posto>> comunicò lei secca. Il parco si trovava alla fine di una stradina poco dopo i capannoni ed era diventato un naturale punto di incontro dei due amanti, soprattutto la mattina quando era poco frequentato.
Nel parcheggio avevano fatto l’amore la prima volta, in un tardo pomeriggio d’inverno, quando il sole era già tramontato da un pezzo.
Ma quei tempi sembravano distanti, ora che il loro segreto era stato scoperto.
<<Lui sa chi sei>> svelò lei.
Continuò, con sorpresa di lui: <<Non chiedermi come ha fatto, ma sa il tuo nome, dove vivi, lavori e di tua moglie, tutto>>.
Il miglior amico di suo marito evidentemente aveva fatto un buon lavoro, frutto per altro di una sfortunata combinazione iniziale.
Il silenzio calò tra i due, seduti su una panchina.
Alberto lo ruppe, con voce incerta: <<Con te non riesco a nascondere alcun pensiero, anche il più spiacevole, perché sei la persona più importante della mia vita>>. <<Dimmi pure>> fece la donna.
Il seguito lasciò il segno: <<Ho il dubbio che potresti essere stata tu a confessare tutto di me, di noi. Non so se per senso di colpa, paura di perdere tutto o chissà cos’altro>>.
La risposta non si fece attendere. Uno schiaffo violento ed una corsa in lacrime.



Epilogo

Alberto aveva trascorso l’ultima settimana a valutare la situazione, che gli appariva senza soluzione e lo stava portando sull’orlo della follia.
Da un momento all’altro il marito di Silvia poteva arrivare a casa o in azienda a raccontare tutto a Lucia.
La fine sarebbe arrivata. Le valigie, a casa dalla mamma “Te l’avevo detto io”, la perdita del lavoro e dei soldi facili sempre spesi mai messi da parte, il divorzio ed il giudizio della gente.
Non contava l’ordine di importanza. Forse non ne aveva. Era sconvolto.
Qualcuno doveva morire, solo questo sapeva.
Poteva uccidere Antonello col rischio di farsi trent’anni di carcere o forse incaricare qualche disperato che poi lo avrebbe ricattato a vita.
Poteva uccidere sua moglie, ma il movente sarebbe emerso fuori subito, conducendo gli inquirenti da lui.
“E se uccido Silvia?” pensò.
Col passare del tempo era sempre più convinto che fosse stata lei a svelare l’identità sua e di Lucia ed un bel delitto passionale era quello che ci voleva per concludere il casino.
Un delitto per punire, se stesso prima di tutto.
Questo pensiero lo convinse a cambiare obiettivo.
A bordo della sua auto aprì il cassetto, prese la pistola da tiro al poligono e la puntò alla tempia.
Il dito scese dal ponte al grilletto. Finalmente la testa era vuota, paura e sollievo per l’ultimo viaggio.
Un rumore. No, neppure un rumore.
Era un suono, una musica. La suoneria del cellulare.
Posare la pistola o adoperarla? Posare la pistola e rispondere.
Era Silvia. Il marito aveva detto tutto a sua moglie.
Lucia aveva avuto un attacco di cuore, ma era sopravvissuta.
<<Dov’è successo?>> riuscì a chiedere Alberto.
<<In un autolavaggio>> rispose la donna.
Chiuse la comunicazione.
La notizia inaspettata scosse la sua coscienza assopita.
Incombeva la scelta finale.
Riportò l’arma alla testa. Fuga definitiva dalla realtà.
La rimise al suo posto. Una diversa decisione.
Mise in moto. Un nuovo senso di responsabilità stava prendendo il sopravvento.
Si diresse all’ospedale.
Il pericolo di morte di lei aveva salvato la vita di lui.
E forse anche l’anima.

Un Uomo Nuovo

di Roberto Scudeletti dicembre 2010


“Coraggio! Da domani mi metto di impegno e cambia…”. Un cazzo, cambiava! La vita gli stava sfuggendo di mano. Il tempo correva più veloce dei buoni propositi. Visioni amare di un uomo in viaggio. Verso il mezzo secolo di esistenza. Sempre gli stessi errori. Le stesse debolezze, gli stessi egoismi. Solo e randagio. Beone e volgare. Vestito male, rasato peggio, un barbone del nord est.
Con villa e piscina. Ereditata dal padre la prima, assieme ad un conto corrente miliardario, ai tempi della lira. Costruita per sfizio la seconda, per accogliere le sue amichette a pagamento. Regolarmente molto più giovani di lui. Il sesso in acqua lo faceva sentire il re dello stagno. Nonostante tutto, nel profondo, si sentiva una merda.
         Era una contraddizione vivente. Andava a messa dai frati Cappuccini di Sant’Antonio a Padova. Per diversificare gli investimenti aveva messo una somma a disposizione di un prestanome. In un club lap dance, caffè e latte. Brasiliane e dell’Est Europa. More e bionde per ogni gusto.
Due mesi prima era stato avvicinato nello stesso locale.
Gli avevano fatto girare le palle, perché teneva una mulatta carioca di ventisette anni sulle ginocchia. Per loro fortuna la motivazione si rivelò importante e fruttuosa. Il boss gli aveva offerto una partecipazione nel giro di prostituzione, che per prudenza non avveniva nei privè.
Dopo le prime conoscenze tra musica e danze su pali, divanetti e spumante gli incontri avvenivano in appartamenti sicuri. Ci volevano molti soldi per finanziarne l’acquisto. E lui si sapeva che ne aveva. E molti.
         Unì il profitto al piacere. Del resto con lo stantuffo che si trovava, aveva bisogno di una flottiglia di donne pazienti a sopportare i suoi tempi lunghi. I costi però così lievitavano. Non era uno dei soliti clienti sfigati che in dieci minuti da coniglio sfogavano lo stress di vite familiari fallimentari e lavori insoddisfacenti. Lui durava. Lui pompava.


Il sesso era la sua ragione di vita. Condita dall’alcool. Droga mai. Non faceva al suo caso. Lui voleva sentire. Provare emozioni. Lo stordimento lo lasciava ai coglioni. I suoi di coglioni volevano godere. Ora ne aveva di pupe da spupazzare. Gratis.
         C’era di che essere soddisfatto. Felice. Invece no. Sempre incazzato. Anche quando guardava il saldo del suo conto via internet con l’home banking. Nel profondo voleva cambiare. Perché poi? Schizzato. Schizofrenico? Di un parere professionale non sapeva che farsene.
         Avere una vita normale. Andare in chiesa con la famiglia la domenica. Possibile fosse quello che gli mancava? Eppure, conosceva tanti padri e mariti che andavano con le sue nuove dipendenti, per fuggire da quella realtà.
         Nessuno può essere felice? L’insoddisfazione insita nell’animo umano? “Basta con queste stronzate!”. E uscì.
La serata al lap risultò noiosa. Niente riusciva a distrarlo. Neppure l’ultima bionda stangona made in Praga, che gli accarezzava la patta dei pantaloni.
<<Prova questa, capo>> gli propose uno dei buttafuori, nell’ufficio del titolare. <<E tu prova questo, cazzone>> fu la risposta, condita da una pizza che rovesciò il tipo a gambe all’aria sul pavimento. Un calcio sulle palle e capì che era meglio non offrire la coca a quello strano uomo.
         Uscì nell’aria umida autunnale. “Strano, niente nebbia stanotte” pensò raffreddando la sua rabbia. Strade deserte. Saracinesche abbassate. Come la sua vita. Solitaria col cuore chiuso all’... L’accostamento lo colpì nel profondo. Dove era seppellita la verità. Neppure riusciva a nominarla quella parola. Che comparve all’improvviso. Quando vide una coppia baciarsi, prima che la ragazza varcasse il portone di casa. Destino? Casualità? <<Amore, sei qui!>>. Una delle sue concubine lo stava cercando. Evidentemente in missione consolatoria. Senza rispondere spense la cicca sotto la suola e sgommò a casa.

          Qualcosa era scattato. Voglia d’amare ed essere amato. Finalmente desiderava cambiare, almeno in parte, la sua vita sregolata. Sapeva che avrebbe dovuto rinunciare ad alcuni vizi. O almeno diminuirli. Per prima cosa trascorse quasi un’ora a radersi la barba vecchia di anni. Poi rinunciò alla razione mattutina del suo whiskey preferito. Lo barattò con un caffè forte, senza correzione di grappa. Aggiungerci del latte però gli sembrò eccessivo. Un biscotto era più che sufficiente.
         Si vestì come al solito con jeans strappati, camicia di fuori, felpa monocolore e giubbotto di pelle marrone. Ai suoi piedi un paio di stivaletti con cerniera. Un residuato bellico della gioventù. Bruciata, con alcool, donne, gioco d’azzardo. Soldi in saccoccia e via. Donne prese, scopate e mollate. Nessuna complicazione sentimentale.
         Aveva capito, la notte precedente. Gli mancava la parola innominata. Le emozioni, i batticuori e le implicazioni relative. Figli compresi? Il suo innato egoismo non li contemplava proprio. Ma ora? Incertezza. Di fronte allo specchio s’immaginò affiancato da un ragazzino. Gli arrivava alle spalle. Era il suo erede immaginario.
         Da un eccesso all’altro. Che esagerazione! Uscì scuotendo la testa. Con un lieve sorriso.
         Il sole lo abbagliò. Indossò un paio di occhiali da sole con lenti verdi. La bella giornata incoraggiava a lasciare l’auto in garage. S’incamminò a passo veloce verso il centro del paese. La piazza era affollata.
Giornata di mercato settimanale. Bancarelle. Italiche e straniere. Come i frequentatori. Immigrati e polentoni accumunati dalla voglia di curiosare, passeggiare e acquistare. Pesce, formaggio, pollo allo spiedo, vestiti, biancheria intima, piante, canarini, una processione di colori e di odori, di volti e di parlate diverse. Così diversi dalla sua vita. Lo urtavano, prima. Lo facevano sentire più umano, ora.
“Ti stai rincoglionendo” ed entrò dal parrucchiere.

 Era il giorno migliore. Nessuno. Chi lavorava non c’era. Chi poteva bighellonare frequentava il mercato. O i bar e le pasticcerie vicine. Si accomodò sulla poltrona.
         <<Fammi un bel taglio signorile e giovanile allo stesso tempo>> ordinò. <<Comandi…>> rispose il titolare, aggiungendo: <<Che cosa è successo? Funerale o matrimonio?>>. Lo vedeva solo per una spuntatina e una pettinata veloci. Li teneva lunghi, come la barba, ora inesistente. <<Fatti i cazzi tuoi>> fu la risposta.
         Uscì irriconoscibile anche a se stesso. Si sentiva un altro. Fuori di sicuro. Dentro era ancora il solito vecchio stronzo. Stava migliorando. Avrebbe potuto far attraversare una vecchietta tenendola a braccetto. Senza sgambettarla o mollarla al passaggio di un veicolo.
         Si specchiò in una vetrina per vedere da vicino l’effetto che fa. Così recitava una vecchia canzone dei suoi anni. Un vero successo da hit parade. <<Vengo anch’io. No tu no. Ma perché? Perché no!>> canticchiò sottovoce, ammirandosi.
         La pace con se stesso e gli altri durò poco.
         Stava entrando nel supermercato. Spesa per il fine settimana.
         Un’auto gli si affiancò nel parcheggio.
         <<Proprio a lei stavo cercando… Per un attimo neppure la riconoscevo!>> esclamò un tizio con accento siciliano. Stile Camilleri-Montalbano.
         “E che minchia e minchia…” avrebbe voluto replicare. Era uno dei boss della mala, trapiantato al nord dai tempi del soggiorno obbligato. Si limitò ad un sorriso interrogativo. <<Mi dica>> aggiunse.
         <<Salga su che ci facciamo un giro e parliamo>>.
Tono di voce tra invito ed ordine. Decise di aderire.
<<Lei sta dando un grande contributo allo sviluppo del sesso a pagamento nella zona, grazie alla sua partecipazione nel Lap Top Dance>>.


“Ecco la carota, già mi immagino il bastone…” pensò immediatamente.
<<Come sa io e la famiglia procuriamo la merce, giovane e bella. Investiamo i proventi della droga nella figa. E guadagniamo due volte>>.
Pausa. Occhi puntati su di lui. In cambio restituì silenzio.
<<Insomma, sono qui per dirle che lei sta collaborando solo a metà. Dovrebbe investire altri soldi anche nella primaria attività. La droga rende>>.
Una bastonata leggera. Equivoca. Un rimprovero travestito da paternale.
Tentò la via della verità.
<<Vede egregio, io investo in quello che mi piace>>.
Lo guardò negli occhi. Della serie sono un uomo con le palle.
<<La figa mi piace e la vendo, la droga mi fa vomitare e non la spaccio>>.
Pausa. <<Capisco la sua perplessità. Mi prometta però di pensarci, seriamente>>.
Il tono pareva quello adeguato ad una velata minaccia. Si costrinse a rinunciare a ribattere con un provocatorio “Altrimenti che succede?”. In certi casi l’autocontrollo era fondamentale. <<Senz’altro>> fu la risposta che entrambi attendevano dalla sua bocca.
Fece un salto al suo bar preferito, dove ingollò un bicchierino di Jack Daniel’s. Toccasana per la situazione.
La settimana dopo tornò al supermercato. Moneta da un euro. Carrello. Corridoi percorsi in fretta. Testa per aria. Guida pericolosa. Scontro, senza patente.
<<Mi scusi, non l’ho proprio vista>>.
Lo sguardo andò sul viso di una signora mora. Capelli lisci, occhi orientaleggianti di un colore cangiante, dal giallo al verde. Fisico longilineo, curve al posto giusto.
Terminata la spesa e la coda alla cassa si ritrovò con due borse colme, a piedi.
<<Un passaggio a casa?>>.
Ringraziò il destino di aver conosciuto quella donna.


Divorziata senza figli lei, innamorata persa. Scapolone puttaniere lui, si stava lasciando andare. Giorni di conoscenza, attimi dolci e infine amore. La volle a casa sua.
Una telefonata nel cuore della notte. Una voce singhiozzante: <<Sono Luana…>>. La sua preferita. <<Aspetta cara>>.
Portò il telefono portatile in bagno e si chiuse dentro. Non voleva svegliare la sua donna, a letto con lui. <<Che succede?>>. Erano le 3.32 del mattino. Doveva essere roba grave. <<Mi hanno presa e…>>. Altri singhiozzi. <<Dove sei?>>. Lasciò un bigliettino, si vestì rapido e indossò sotto giacca e cappotto la sua pistola preferita. Colpo in canna.
In auto pensò. Nelle ultime settimane era stato tutto tranquillo. Con la novità in casa aveva diminuito la sua frequenza al club lap dance. Non più quasi tutte le sere. Lei sapeva. Aveva mugugnato all’inizio. Poi capito. Era solo un investimento. Infine accettato completamente. Niente più fanciulle sulle ginocchia o nel privè.
I siciliani erano passati a prendere la loro fetta. Il boss non lo aveva più importunato con la storia della droga. Fino a quel momento.
Svoltò dalla statale alla stradina che portava ad una casa singola. Costruita negli anni ’70 era il dormitorio grigio di alcune delle danzatrici del sesso.
Auto sconosciuta parcheggiata. Luci accese. La ragazza fuori ad attenderlo, consolata da una collega. La abbracciò e attese spiegazioni.
<<Un uomo dei siciliani mi ha accusata di aver rubato una dose di coca… ho negato e mi ha picchiata e poi… mi ha riaccompagnata qui facendomi montare sulla sua auto a suon di sberle e… mi ha violentata>>. Provocazione contro di lui. Bastardi.
Estrasse il ferro e lo tenne parallelo alla gamba destra, col braccio abbassato. Dito vicino al grilletto. Vide un raggio di luce riflesso. La canna di un’arma, illuminata dalla luce del cortile. Si girò verso l’angolo sinistro della casa. E sparò. La pallottola attraversò il collo dell'uomo. Zampilli di sangue nell'aria. La morte incombente, che divenne realtà.


Solo, nei casini. Gli serviva aiuto, ma era tardi. Si aspettò di ricevere altre sorprese sotto forma di confetti di piombo. Invece silenzio. Lasciò passare tre minuti. “Che culo”, pensò. Meglio non rischiare. Chiamò rinforzi. Soldati professionisti ai tempi della missione in Bosnia. Quando era un militare, esperto di esplosivi. Prima di congedarsi e godersi i soldi del padre. Era rimasto amico con due di loro che abitavano in zona.
<<Dobbiamo liberarci del cadavere in maniera sicura>> disse uno dei due.
Mille interrogativi per una difficile soluzione.
<<Lo conoscevi? Chi ce l’ha con te? Perché? Che cosa farai dopo?>>.
Per fortuna, come avrebbe scoperto dopo, tutte le ragazze erano state invitate caldamente a passare la nottata in una pensioncina economica. Nessun testimone.
Il cadavere fu sciolto con un composto di acido muriatico e soda caustica. In una vecchia vasca da bagno nel mezzo di un bosco isolato. I rimasugli sepolti sotto il terreno.
<<Grazie ragazzi!>> salutò, senza poter offrire la colazione. Alba. Meglio non dare nell’occhio in paese. Una stretta di mano e a casa.
Dopo che la sua compagna uscì per recarsi al lavoro si rimise a letto. Difficile riaddormentarsi. Era seriamente preoccupato. Con i siciliani non si scherzava. Cazzo.
A mezzogiorno era in cucina. Una tazza di caffè scuro nella mano. Pane tostato e prosciutto sulla tavola. Mangiare per prendere l’aspirina a stomaco quasi pieno. Tempie pulsanti. Mal di testa. Amplificato dalla suoneria del suo cellulare.
<<Pronto…>>.
Neppure il tempo di aggiungere altro che una voce conosciuta lo investì.
<<Carissimo testa di minchia, come sta?>>.
Fare finta di nulla. <<Bene grazie. A cosa debbo…>>.
Era la strategia decisa dopo i fatti notturni. “Niente vidi, nulla saccio”. Nell’incertezza funzionava sempre. O quasi.

 
<<Un mio uomo è venuto a cercarla stanotte al club, ma ancora tornare deve>>.
Un sorriso si formò sulle sue labbra. Contapalle.
<<Evidentemente ha trovato buona compagnia…>>.
Del resto il suo interlocutore non poteva ammettere altro.
<<Può essere… Allora la chiamai per dirglielo di persona>>.
Cosa non poteva indovinarlo. Solo ipotesi.
E tanta curiosità sulla prossima mossa dei suoi simpatici amici trafficanti.
<<Sarebbe?>>.
“Che me lo vuoi mettere nel culo, lurido bastardo?”, evitò di aggiungere.
<<Che è tempo di decidere. Di unirsi a noi in quella fruttuosa attività che sa>>.
“Cazzo era ora!” suonava troppo una presa in giro.
<<Che cosa propone allora?>> chiese, diplomatico.
<<Un incontro faccia a faccia io e lei. Senza giri in macchina. Seduti.
Uno di fronte all’altro. Come veri uomini d’onore>>. Che faccia tosta!
Decise di accettare. In fondo era quello che volevano entrambi.
L’appuntamento era per la sera successiva. Aveva tempo per prepararsi.
Anche al peggio.
Finita la telefonata, spense il cellulare.
Innaffiò il modesto pranzo con acqua e aspirina.
Si concesse un riposo sul divano, sotto una vecchia e calda coperta Lanerossi.
<<Andiamo fuori a cena>> comunicò all’arrivo della sua donna.
<<Che cosa festeggiamo?>> chiese lei. <<Il nostro amore…>> rispose lui.
Era la prima volta che si dichiarava con quella stupenda parola.
Stupendo se stesso. Fecero sesso o meglio all’amore come non mai.
Poteva essere l’ultima volta.


Giunse l’ora dell’incontro. 
L’ambiguità della situazione lasciava spazio ad ogni prospettiva.
Ancora una volta uscì con la berta sul cuore. Colpo in canna. Caricatore pieno. Doveva essere pronto ad una reazione al suo secondo rifiuto.
Decise di andare da solo. Non voleva coinvolgere nessuno in questa trama così pericolosa. L’uomo del boss non sarebbe stato ritrovato. Un caso raro di lupara bianca subita invece che procurata. La questione avrebbe amplificato l’incazzatura del puparo, del manovratore di sesso e droga e chissà cos’altro.
Pronto al nulla di fatto. Opzione che avrebbe preferito. Amici come prima. Pronto all’attacco per difesa. Ora che aveva una vita diversa da salvaguardare. Pronto al sacrificio. Da preferire alla vendetta contro la sua donna. Prima avevano toccato con una falsa scusa la preferita del suo ex harem. Non ci voleva tanto a capire dove sarebbero andati a parare la prossima volta.
Ritornò al presente. Un casolare di campagna a due piani il posto prescelto.
Nascose l’auto dietro una grande cascina. E attese.
L'altro arrivò da solo e parcheggiò di fronte all’ingresso. Salì al secondo piano e accese le luci. Nel frattempo lui armeggiò sotto la sua berlina.
Dopo un quarto d’ora il boss udì bussare alla porta. Aprì. Uscì sul ballatoio.
<<Ehi chi è là>> urlò guardando in basso. Il suo ospite stupidamente si voltò.

Un colpo alla nuca. Precipitò dalle scale. L'assassino sorrise, soddisfatto. Scavalcò il corpo ed entrò in auto. Esplose in una cinica risata. Girò la chiave dell'accensione. Fu lui ad esplodere. La vittima si era trasformata in carnefice.