Nubi grigie in un cielo nero. Lampi appaiono e
scompaiono.
Frutti incandescenti di un temporale lontano,
silenzioso, senza tuoni.
Che rendono l’atmosfera cupa, nel tardo
pomeriggio autunnale.
Una pioggia incessante cade impietosa sui
poveri viandanti, che arrancano sulla terra battuta della strada divenuta
oramai fango scivoloso.
Una donna fradicia agogna la meta, assieme ad
un gruppo di pellegrini.
Finalmente l’uomo col bastone che li guida
alza la testa dal cappuccio del mantello, si volta indietro rallentando e urla:
“La locanda è qui!”.
Un ultimo tratto accompagna lo sguazzare di
piedi e membra doloranti.
A uno a uno entrano nella taverna, riscaldata
da un benedetto camino acceso; si strofinano le mani, bagnati in ogni antro del
corpo, con le gocce che cadono sul pavimento mentre altre decidono di evaporare
verso il soffitto di travi in legno, per poi scomparire.
La fame e la sete per un attimo passano in
secondo piano.
Dopo pochi minuti la stanchezza prende il
sopravvento e si siedono attorno ad un lungo tavolaccio.
In silenzio mangiano la zuppa di legumi e un
pezzo di pane nero, alcuni bevono avidamente solo acqua, altri
vino rosso sangue.
Tra le donne una, magra dai capelli neri
corvini e mossi, si alza per prima verso la scala che porta alle camere al
piano superiore.
Un uomo la segue e dietro di lui l’oste.
Bramosa di un sonno ristoratore sul
pagliericcio, in attesa dell’alba e della ripresa del cammino verso il
santuario, non si avvede del movimento.
Sta per entrare nella camerata delle donne, quando
una mano la afferra.
Lo sguardo atterrito si volta, in cerca di
spiegazione.
Un soldo di argento passa dalla mano dell’uomo
all’oste, il quale la conduce in fondo al corridoio.
Una porta chiusa a chiave viene aperta.
Solitamente è riservata ai nobili di passaggio.
Un caminetto dalla legna scoppiettante nella
fiamma viva la accoglie.
Lei si volta con sguardo interrogativo. L’oste
sta tornando al suo lavoro da basso.
L’uomo, prima di congedarsi, risponde con un
sorriso: “Buona notte, donna Daniela!”
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