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martedì 7 settembre 2010

ULTIMA CORSA di Roberto Scudeletti


3 settembre 2008

Ci sono periodi nei quali viene spontaneo fare il bilancio della propria vita. 
Quello classico è da Natale a capodanno, condito da tanti buoni propositi che, almeno nel mio caso, vengono puntualmente disattesi. 
Un languore interno mi dilania lo spirito, al pensiero di sapere cosa e come migliorare, per poi ritrovarmi con gli stessi problemi irrisolti. Sapere ma non riuscire ad agire, a cambiare… terribile. Soprattutto ora che sono rimasto solo, per la morte della mia fidanzata, investita sulle strisce da un pirata della strada, ubriaco, fuggito e poi arrestato, senza nessuna consolazione da parte mia. La tragedia è coincisa con il mio periodo preferito per la redazione di attività e passività, costi e ricavi esistenziali, cioè l’inizio dell’estate. 
Mai ricorrenza poteva essere nefasta e peggiore di questa. Ho trascorso tutta la bella stagione a riflettere, pensare, meditare, in un percorso lungo tre mesi: dai miei difetti ai miei vizi, dai miei doni buttati al vento al senso globale della vita, passando da una visione laica ed in certi momenti assolutamente pagana ed atea ad una contemplazione religiosa, quasi mistica. 
Alla fine di questa triste estate, mentre i tramonti si succedono sempre prima, sera dopo sera, accorciando la durata della luce diurna, la sentenza finale della giuria presieduta da me stesso contro l’imputato me stesso è stata emanata in maniera definitiva. Il bilancio è scivolato infatti inesorabilmente verso un processo alla mia vita e la condanna è la morte del reo confesso, per disperazione ed inutilità verso la sopravvivenza. Dal bilancio al processo come dalla vita alla morte, un atto finale di liberazione senza appello. Abito in campagna e amo il mare, un’altra delle mie contraddizioni esistenziali, ed ho deciso che la laguna sarà la mia tomba o quanto meno la mia provvisoria culla mortale. L’ultima corsa per Venezia parte da Noale alle 20.45 circa. Salgo sull’autobus dieci minuti prima ed oblitero il biglietto. 
Oramai il cervello è sgombro dai problemi che giustificano la mia condanna, dal mutuo ai debiti di gioco, dalla predisposizione ad eccedere con alcool e cibo alla morte della mia compagna, ultima ancora di salvezza prematuramente svanita. Quasi quasi la serenità dettata dalla consapevolezza di raggiungerla presto fa increspare una sorta di sorriso sul mio volto. L’autista è salito, me lo trovo a vista, essendo io seduto sul sedile anteriore destro e lo osservo, sul suo posto di guida a sinistra, mentre si sistema, controlla gli specchietti, avvia il motore, accende i fanali, chiude le porte e parte, sicuro. 
E’ una donna e mi lascia perplesso che lavori al turno di sera, forse è una single senza famiglia, penso distrattamente. Arrivati a Mestre tutti i passeggeri scendono in Via Carducci e stranamente nessuno sale per andare a Venezia ed io rimango solo, nel silenzio rotto dalle accelerate e frenate del mezzo che mi condurrà sul luogo della mia esecuzione. 
All’improvviso gli occhi dell’autista sono su di me, dallo specchietto retrovisore li vedo, chiari e luccicanti, mentre una domanda mi paralizza: “Perché lo vuoi fare?”. La mia bocca è asciutta, impastata, gola e corde vocali secche e impossibilitate alla replica. Ancora lei: “Quando hai una o cento o mille difficoltà è il momento di reagire, guardare il cielo, le foglie di un albero, ascoltare il cinguettio di un uccello, per rendersi conto che testimoniano che la vita è il bene più prezioso che abbiamo…”. 
Un unico pensiero mi affolla la mente: “Le stesse identiche parole che diceva il mio amore quando mi vedeva in preda allo sconforto!”. E prosegue: “Ripartiamo dai segni di vita che ci circondano e ce la faremo, fidati di me come hai sempre fatto, fino all’ultimo“. La reazione più logica sta per emergere, potente e violenta. Vorrei gridare al mondo “Non è possibile!”. Ma qualcosa cambia dentro di me. Le parole della mia amata, ripetute da un angelo travestito da autista, scuotono la mia anima e provocano un effetto opposto. L’autobus si ferma al capolinea, ci scambiamo un sorriso d’intesa, scendo e mi incammino sereno verso una nuova vita. 
Ho la fortuna di trovare una stanza libera in un alberghetto modesto a due stelle, che comunque pago come una doppia in alberghi di categoria superiore nell’entroterra, ma qui siamo a Venezia e solo l’atmosfera di una sera estiva vale il sovrapprezzo ed io me la godo con una passeggiata fra le calli affollate. La notte mi accoglie in un letto comodo, offrendomi un sonno ristoratore. La mattina, dopo colazione, faccio il classico giro da turisti, godendomi una giornata di sole, ma non afosa, da Rialto a Piazza San Marco, percorrendo Riva degli Schiavoni fino ai Giardini, dove pranzo su una panchina all’ombra, con un panino ed acqua minerale, rigorosamente naturale. Dopo un’ora di contemplazione del panorama di fronte a me ed un caffè macchiato bevuto in piedi al volo torno sui miei passi, lentamente. Una voglia inarrestabile mi conduce all’ufficio dell’ACTV di Piazzale Roma. 
“Vorrei parlare con l’autista dell’ultima corsa Noale-Venezia di ieri sera, per favore” - chiedo all’impiegata. “Se ha un reclamo abbiamo un modulo apposta, signore” - risponde lei, solerte. “Niente reclamo, anzi è il ringraziamento per una faccenda personale“. Rivolge gli occhi ad un computer, digita alcune battute sulla tastiera, guarda attentamente il monitor e mi informa che se mi affretto riesco ad incontrarlo sulla stessa linea Venezia-Noale in partenza tra cinque minuti, sull’autobus numero 570. 
Dopo un rapido grazie, mi avvio scattante verso il piazzale e scorgo subito il primo autobus della fila con la scritta arancione “Noale” sul display sopra la cabina di guida, al momento vuota. Mi apposto a fianco alla porta anteriore aperta e aspetto. Pantaloni blu scuro e camicia celeste a maniche corte con spalline, arriva l’autista e sale i gradini, sotto il mio sguardo attento. 
Monto sul mezzo a mia volta e, sudando goccioline calde su una pelle fredda da brividi, chiedo conferma: “Era lei che guidava nell’ultima corsa da Noale a qui ieri sera?”. Alla sua risposta affermativa rivolgo lo sguardo al cielo e, fissando una nuvola bianca candida come la neve, penso al mio amore perduto che da lassù mi sta guardando e proteggendo, magari sorridendo sotto i baffi che non ha mai avuto. La persona che guidava l’autobus ieri sera non è la stessa che mi ha appena parlato, un uomo.