Cerca nel blog

lunedì 23 novembre 2015

IL COMPLEANNO DI UNA FATA



di Roberto Scudeletti




C'era una volta
una fata bionda
che fu invitata
al castello del re.
A piedi avviata
cosa desiderasse
il suo sovrano
senza risposta si chiese.
Arrivata alle mura
sul ponte levatoio
si incamminò, dal cortile
fino al salone del trono.
Silenzio e oscuri tendaggi
accolsero la sua venuta,
nessuno era presente,
si mise in attesa paziente.
Volta verso lo scranno
non si accorse all'inizio
di luci di mille candele
che mani invisibili accesero.
Finché l'intero salone
fu colmo di splendore
e di eleganti persone
tra cui il di tutti monarca.
Inginocchiata al cospetto,
da lui fatta rialzare
con mano gentile
per la sua nascita celebrare.



venerdì 16 ottobre 2015

PRIMA O POI DOVETE TUTTI MORIRE

Racconto a quattro mani

di 

Roberto Scudeletti

Jessica Lilith Massafra






PROLOGO

Mi chiamo Leonardo, non sono un artista, almeno non in quel senso. Mi diletto di lingua. Ma anche in questo caso Dante non c'entra una sega. Sì avete capito bene, sono uno specialista del clitoridelirium, una pratica che letteralmente fa impazzire le mie vittime. A cui dopo lo recido, prima della loro fine mortale.
Ma prima dedico loro una poesia, che poi lascio sul corpo delle mie vittime sacrificali, scritta in una pergamena arrotolata nell'orifizio anale, come una sfida a trovarmi, se ci riescono:
Il profumo di te sulle mie mani
avide del nostro amore
mai vorrei arrivasse domani
per perdere ogni odore
che mi ricordi il tuo corpo
unito, poi andato, già morto


CAPITOLO UNO

Era bella, Selena, la mia prima vestale....era così eterea, sognante. Incredibile quanto sangue contenesse quel corpo pallido!
E... fu così che in que primo momento fui pervaso da un indicibile calore.. ma poi tutto si disciolse lentamente e il fatto di aver compiuto un delitto stimolava la mente e faceva godere le cellule più recondite e nascoste dell'animo umano; certo non ne andavo fiero ma l'impulso di mettere quella pergamena riportava in me ricordi primordiali come un urlo nello spazio...



CAPITOLO DUE

Il responsabile della omicidi, padre di una fanciulla forse coetanea della vittima, rabbrividì alla vista della scena del delitto, evocando tra sè un esemplare castigo, tra mille sofferenze, che la civile società moderna aveva da tempo abolito, lasciando anzi spazio addirittura ad associazioni che si prendevano cura di Caino, per lui cosa assurda! Ammirava Dexter Morgan, medico forense specializzato in macchie di sangue di giorno e giustiziere di serial killer di notte, di cui aveva divorate le prime cinque serie tv nei canali specializzati in serie criminali.


CAPITOLO TRE

Quando entrò nella stanza, tutti interruppero per un istante le loro attività.
Margo era molto alta, atletica e aveva dei lunghi capelli rossi.
Il suo aspetto, piu' adatto ad una modella che a una criminologa, spesso non l'aiutava, anzi, risultava penalizzante alla sua credibilità.
Eppure, era la migliore.



CAPITOLO QUATTRO

- Cosa abbiamo allora? - chiese, infastidita dalle occhiate lascive dei colleghi maschi.
- Una giovane uccisa con uno strano rituale - iniziò Serena, specializzata di fotografia sul luogo del delitto.
Si trovavano di fronte ad un tabellone a rotelle, disposto sulla parete più lunga del laboratorio, sul quale erano disposte le foto appena sviluppate della scena del crimine, con e senza cadavere.



CAPITOLO CINQUE

Margo ingoiò ad una ad una nel profondo dell'anima le foto della povera ragazza, torturata a lungo.
La pelle era stappata in più punti, le unghie rialzate per mostrare il rosso sottostante, il viso una maschera di sangue senza più fattezze umane.
L'assassino si era accanito anche sui seni, tagliuzzando i capezzoli, e sui genitali, recidendo e strappando il clitoride.
Infine le aveva squarciato la gola, come fosse un atto di estrema pietà...anche se Margo dubitava che la pietà potesse albergare nell'animo di chi aveva fatto quello scempio.
Non era la prima volta che vedeva foto simili, purtroppo..tuttavia il particolare della pergamena era inedito.
Era da quello,che dovevano cominciare.



CAPITOLO SEI

Si odorava le mani ogni dieci minuti, perché sapevano ancora di lei, dei suoi umidi umori, ancora vivi, prima della santificazione salvifica, la prima esecuzione, nelle sue intenzioni, di una lunga serie.
Aveva fatto in modo di non lasciare tracce, impronte, capelli, saliva, sperma, prendendo tutte le precauzioni possibili.
Unico indizio la scrittura sulla pergamena; almeno doveva regalare un inizio agli investigatori per intraprendere il gioco di "catturami se ci riesci!" che a lui piaceva tanto e che lo avrebbe consacrato Signore della Giustizia e della Morte Divina.
"Prima o poi tutti dovete morire" pensò, versando su un bicchiere e tre cubetti di ghiaccio una dose consolatoria di Jack Daniel's, il suo whiskey preferito.



CAPITOLO SETTE

..Margo entrò nel suo appartamento, lindo ed immacolato..qualcuno avrebbe detto asettico, impersonale.
Odiava il disordine, i gingilli inutili.
Appoggiò i fascicoli e la cartella delle foto sul tavolo,amava lavorare sul cartaceo,doveva toccare le foto,sentire la carta frusciare, solo così riusciva a concentrarsi ed avere le sue famose, brillanti intuizioni.
Ma non oggi..
"Sono stanca,stanca di tutta questa violenza insensata,stanca di osservare poveri corpi martoriati,stanca di arrivare sempre "dopo", quando tutto è già stato compiuto".
Sono sempre gli uomini che uccidono per il piacere.
Le donne,no...non fanno queste cose.



CAPITOLO OTTO

- Leonardo, Leonardo, quante me ne combini... - si disse l'assassino con timbro femminile, ammirandosi allo specchio, nudo, con il fallo eretto.
- Mamma, non è colpa mia, sono queste troiette che mi provocano, ma ora sto cominciando a punirle, hai visto? - si rispose, con la sua voce, accarezzandosi piano piano il membro, come fosse un animale da compagnia.
Rivide l' abbordaggio di Selena in discoteca, travisato nell'aspetto con abile travestimento, convincendola con una droga chimica versata di nascosto nel drink a seguirlo, arrendevole, fingendosi l'amico, premuroso, che aiuta una ragazza brilla e la riaccompagna a casa.
Solo che nel suo caso la premura si trasformò in indescrivibile agonia, il cui ricordo gli fece accelerare il ritmo della mano.
Dopo essersi docciato, per togliere il frutto dell'orgasmo appiccicoso dal suo corpo, si dedicò ai preparativi per la prossima vittima.
Seduto davanti allo specchio del bagno, mentre iniziava a truccarsi, osservò l'ingrandimento di una foto, stampata a colori da un sito dedicato a convegni di criminologia.
"Però, bella gnocca questa Margo" pensò, sorridendo.



CAPITOLO NOVE

"Basta, per oggi sono satura".
Margo ripose i documenti nella scrivania e si stiracchiò sulla sedia girevole.
Niente da fare, non riusciva a smettere di pensare al particolare della pergamena.
"Perchè una pergamena? E perchè metterla nel corpo della vittima?"

Era certa che la soluzione di tutto fosse lì e nelle parole della poesia... solo che non riusciva a vederla, era troppo stanca, aveva bisogno di una pausa... si,doveva uscire, vedere persone, svagare la mente, e dopo, forse..
Entrò nel locale affollato, rumoroso ma tutto sommato pieno di gente allegra e divertente. Il bancone era gremito, dovette aprirsi un varco tra la massa vociante per guadagnare uno sgabello ed ordinare un drink.
Poi lo vide.



CAPITOLO DIECI

Si ritrovava, senza volerlo, con due prede a disposizione, contemporaneamente.
La prima, con la quale stava già parlando da venti minuti, era la seconda vittima sacrificale.
L'altra lo stava guardando, vagliando, soppesando, sfacciata e vogliosa; si trattava della titolare delle indagini sul killer della pergamena. Non era programmato un incontro, al momento per lui prematuro, ma la sfida, a questo punto, lo stava stuzzicando, inutile nasconderselo.
L'adrenalina, l'eccitazione della caccia, il sentirsi padrone delle vite altrui affiancavano il senso di giustizia della sua missione; sacrificio per remissione dei peccati delle donne, visione ereditata dalla madre, ma anche piacere di adescare, circuire, conquistare, affascinare vittime inconsapevoli e proprio per questo destinate al sacrificio, estremo.
Che fare? Con Pamela il discorso era avviato talmente bene che probabilmente non sarebbe stato necessario nessun additivo stupefacente per arrivare a casa sua, era già cotta e pronta a subire la sentenza di morte e poesia.
"Devo filarmela con lei e lasciare la sbirra a sbavare" pensò la parte razionale, mentre il suo ego voleva cogliere l'occasione per divertirsi almeno un po' e così agì.
- Scusami tesoro, vado a salutare un'amica e ti raggiungo - sussurrò all'orecchio della disponibile ragazza.
Avvicinandosi alla donna notò che non aveva mai distolto lo sguardo da lui, segno di desiderio e decisione, sicurezza nei propri mezzi di cacciatrice di sesso senza implicazioni amorose.
"Strano che una poliziotta di grado con la sua reputazione si comporti come una qualsiasi ragazza pon pon, anzi pompin!" sorrise tra sè, mentre la stava raggiungendo al bancone del bar.
- Prima che i tuoi occhi mi trapassassero il cuore sono dovuto correre da te, stella luminosa della sera! - le disse, con tono tra il faceto e l'ironico.
- E' meglio che torni da lei, cowboy, io non passo da seconda scelta - fu la risposta, inattesa, che lo gelò per un istante.
La voglia di massacrarla sprizzò dall'inferno della sua anima, controllata subito dopo dalla folle mente calcolatrice; aveva già pianificato come occuparsi di lei e c'era il tempo di rimediare, in un prossimo futuro.
Si inchinò al cospetto del rifiuto, allontanandosi con un'ultima occhiata benigna, consolato al pensiero della scena sanguinosa che si sarebbe trovata davanti quella presuntuosa figlia di troia.



CAPITOLO UNDICI

Leonardo, come previsto, aveva facilmente convinto la calda Pamela a seguirlo a casa sua.
- L'ultimo goccio? - chiese, mentre lei si era già tolta l'abito e stravaccata sul divano in pelle, in intimo sexy e pronta all'uso.
Al suo rifiuto le chiese se le piacesse il latte e lei rispose positivamente. Andò in cucina e dopo pochi minuti tornò con due tazze fumanti.
- Nulla di meglio per riprendere lucidità dopo una serata di alcool. La tazza di lei aveva una correzione di leggero sonnifero; appena fece effetto la condusse in braccio nel seminterrato.
"La mia sala giochi" pensò, lieto.
Attese paziente una mezz'ora scarsa poi prese a bagnarla con acqua e ghiaccio finché non la risvegliò.
Non poteva parlare nè muoversi.
Era legata e imbavagliata su un lettino immacolato.



CAPITOLO DODICI

"Questa città è sempre piu' sporca, la gente ha perso ogni senso civico" pensò Margo, mentre si recava, a piedi, in ufficio, vedendo quei sacchi neri abbandonati per strada.
Avvicinandosi, notò che c'era un biglietto attaccato con lo scotch, la curiosità prese il sopravvento e si chinò per leggere.
Una sola frase: "carne da macello".
Sapeva già cosa avrebbe trovato, l'istinto non la tradiva mai; contemporaneamente indossò i guanti e chiamò la scientifica mentre con un taglierino apriva il primo dei sacchi di plastica.
Gambe di donna....due arti amputati ed una mano.




CAPITOLO TREDICI

Nel pomeriggio decise di fare il grande passo; sapendolo qualcuno avrebbe potuto definirlo il grande pazzo, non era folle, ma un giustiziere!
Era lui, Leonardo, senza trucco e senza inganno, come mamma, la sua amata mamma, la sua musa ispiratrice di sangue, l'aveva fatto e lasciato solo nel mondo delle cattive donne, che meritavano la giusta punizione; aveva appena raggiunto quota due, solo l'inizio, per lui, soddisfatto a mala pena, anzi no, ora toccava a lei!
Colei che aveva osato respingerlo in malo modo, quando era nella sua altra forma, di angelo nero vendicatore.


CAPITOLO QUATTORDICI

Un tipo magro ed elegante chiese di lei.
Diceva di avere notizie sugli omicidi delle ragazze; lo fece subito entrare ed accomodare.
- Piacere Lester - disse lui, porgendole la mano.
"Sto godendo solo a toccarti, troia" pensò, estasiato.



CAPITOLO QUINDICI

- Cosa mi deve dire, signor Lester? - chiese lei, tra l'incuriosito e l'impaziente; aveva un sacco di cose da fare.
- Ho letto sui giornali del delitto della ragazza nei sacchi della spazzatura... - rispose l'uomo, facendole dimenticare immediatamente gli impegni del caso.
- Vada avanti - lo esortò, sporgendo tutta la sua figura verso di lui.
- Ero fermo al semaforo e ho visto chi ha scaricato i sacchi - comunicò in tono tranquillo, come fosse la cosa più normale del mondo.
La descrizione del responsabile per poco non la fece precipitare con la faccia sul pavimento.
- Mi chiami se le viene in mente altro - gli porse il suo biglietto da visita con il suo numero di cellulare e lo congedò, ancora sconvolta.


CAPITOLO SEDICI

- Ti rendi conto, Serena? - chiese Margo alla collega fotografa.
La bella criminologa doveva confidarsi con qualcuno; uno sfogo liberatorio per una rivelazione sconvolgente.
- Ma sei sicura? - le chiese conferma.
- La descrizione combacia perfettamente, anche se ovviamente la certezza al cento per cento non è possibile.
- Senza contare che è una combinazione troppo strana, dai.
Che probabilità ci sono che un tizio che hai tentato di rimorchiare la sera prima diventi il tuo primo indiziato il giorno dopo?


CAPITOLO DICIASSETTE

Leonardo si era bagnato i boxer al cospetto di colei che doveva diventare la vittima sacrificale più importante, l'ultima, la risolutrice del suo conflitto con il pianeta donna; dopo, forse, avrebbe potuto tornare ad amare ed essere amato, col consenso della mamma defunta, che sarebbe tornata dai morti per dirglielo e lei stessa, finalmente, avrebbe raggiunto la pace, eterna.


CAPITOLO DICIOTTO

Il giorno dopo Margo e Serena trascorsero il tempo ad osservare le telecamere e le webcam nei dintorni del luogo del ritrovamento del corpo smembrato di Pamela.
Un senso di pericolo e di disagio pervadeva l'animo della criminologa; come lettrice di gialli e poliziotta era dura digerire non una, ma due combinazioni: la prima era che fosse stata proprio lei a notare i sacchi, la seconda quella che stavano verificando da ore, arrossandosi gli occhi sui monitor.
- Continua tu, faccio una pausa, poi ti do il cambio, non ce la faccio più - disse, nervosamente, alzandosi dalla poltroncina e lasciando la sala semi oscura.
Di tale scelta si sarebbe pentita, a saperlo...


CAPITOLO DICIANNOVE

Si sentiva nello stesso tempo eccitato e depresso.
Sapeva di essere malato, plagiato dal ricordo nefasto della madre, compulsivo in ogni sua azione, anche la più pianificata con razionale malignità.
Ma era più forte di lui.
Oramai aveva iniziato l'opera di purificazione; nessuno poteva fermarlo.
Neppure la criminologa puttana che aveva osato rifiutarlo nelle sue forme travisate.
Anzi, si avvicinava il momento della resa dei conti finale.
Si guardò un'ultima volta allo specchio dell'armadio a muro nella sua interezza, in elegante completo blu scuro e cravatta intonata, naturalmente regimental.
Indossò i guanti di pelle nera, sorridendo.
"Sei fottuta" pensò. E uscì.


CAPITOLO VENTI

Mentre Serena continuava ad arrostire le pupille sul monitor a 40 e passa pollici Margo uscì nel cortile interno della sezione crimini violenti della polizia, con l'intento di staccare il cervello dal caso del serial killer delle giovani.
Ma i neuroni non ne volevano sapere; giravano come pazzi in testa, facendole ripercorrere la cronologia degli avvenimenti, mentre l'ombra di un grande albero secolare filtrava gli ultimi raggi di sole, sulla via del tramonto.
Una telefonata la scosse dai mille pensieri raggomitolati.
- Pronto chi parla? - chiese al silenzioso interlocutore; pausa e sospiro dall'altra parte.
- Sono Lester, si ricorda di me? - finalmente rispose una voce.


CAPITOLO VENTUNO

- Signor Lester, le è venuto in mente qualcosa di nuovo? - chiese Margo, quasi ansiosa.
- Sì, ma data l'ora mi chiedevo se potevamo parlarne a cena - rispose l'altro.
Un locale elegante, sul lungomare, ma defilato dal centro della cittadina marina, luogo adatto ad incontri clandestini o comunque amorosi, con alcuni Motel sulla strada costiera, che proseguiva oltre.
L'ideale anche per un agguato mortale.


CAPITOLO VENTIDUE

Zolpidem costituiva la soluzione: una cosiddetta droga da stupro dall'effetto sedativo; era quest'ultimo che gli interessava.
- Un caffè? - le chiese alla fine.
- Volentieri - rispose lei, per fortuna.

"Che strano personaggio" pensò Margo.
L'uomo aveva preferito rimandare le rivelazioni sull'ultimo omicidio durante una passeggiata digestiva dopo cena, ma neppure ci aveva provato con lei.
Usciti dal ristorante si avviarono a piedi sulla passeggiata a mare, a quell'ora dopo il tramonto semideserta; ai primi passi iniziò a girarle la testa, lui la sostenne e infine svenne.
La nascose dietro una grossa siepe e andò a riprendere l'auto.


CAPITOLO VENTITRÉ

Sentiva una forte dose di adrenalina mentre accendeva l'auto; il pensiero correva al suo rifugio dove tutto era pronto per la punizione finale, terribile quanto santa e salvifica, per lui.
I ferri del mestiere, freddi e lucenti, aspettavano il suo ritorno nel nascondiglio casalingo, con l'ultima preda, la più preziosa, colei che lo cercava, gli dava la caccia e per questo meritava le più tremende asportazioni e mutilazioni.
Scese nel silenzio delle prime ombre notturne e si diresse soddisfatto dove... non c'era niente e nessuno, il corpo era scomparso!



CAPITOLO VENTIQUATTRO

Un paio di ore prima Serena ricevette la perizia sulla pergamena: si trattava di inchiostro di penna stilografica.
Erano decenni che non ne vedeva una.
Una l'aveva vista, in realtà, da poco; quell'improvviso flash di memoria la fece sobbalzare sulla sedia.
Compose il numero di Margo senza ottenere risposta, sia a casa sia sul cellulare. Si precipitò nella sala operativa in cerca di aiuto.


EPILOGO

Perplesso Leonardo Lester si guardò intorno.
- Fermo! - esclamò una voce dal buio delle siepi circostanti, mentre luci e lampeggianti illuminarono la scena.
Giunsero numerose auto sulla strada, provenienti dal ristorante, sgommando e frenando; erano riusciti a seguire il segnale del cellulare di Margo, grazie alla felice intuizione di Serena, che ora la stava tenendo abbracciata, ancora addormentata, nel bosco retrostante.
Il suo corpo atletico con un balzo scattante corse verso il mare e si tuffò; dopo poco era già arrivato, con bracciate poderose, a venti metri dalla riva.
I poliziotti guardavano il capo della squadra omicidi, sperando nel permesso di sparare a vista.
Non ce ne fu bisogno.
- Attento! - urlò qualcuno alle sue spalle, mentre un motoscafo lo travolgeva, tranciando con le eliche il suo corpo, come lui aveva fatto con le due giovani vittime.
"Mamma, perdonami, non sgridarmi, vengo da te..." furono i suoi ultimi pensieri, prima di varcare la soglia dell'al di là.
Perchè prima o poi dovete tutti morire!














lunedì 12 ottobre 2015

ALBA DOPPIA

poesia di Roberto Scudeletti


Alba di sole
spunta da terra
trova di fronte una sorella.
Luna di giorno
nel cielo già alta
ove il suo pallore risalta.
Natura trionfa
nel mondo al risveglio
sull'uomo... che è meglio!

giovedì 17 settembre 2015

NOTTE FONDA pubblicato nel libro "GENTE CHE SCRIVE... SUL MARE"



Incipit di NOTTE FONDA
di Roberto Scudeletti

Svegliarsi all’improvviso senza ricordare dove. Allungare una mano nel letto e sentire la pelle di una donna a fianco. Portarsela sulla fronte, per sottolineare la presenza di un forte mal di testa, frutto di una sbornia da chilo, anzi da quintale.
Alzarsi in mutande e, a tentoni nella casa sconosciuta, procedere sino ai miseri fasci di luce che riescono a penetrare dalle liste di legno della porta persiana alla genovese, mentre il vento si sente soffiare, voglioso di entrare.
Spalancare le due ante come fosse un armadio su vestiti colorati piuttosto che sulla strada Aurelia e sul mare, leggermente mosso, le onde, la schiuma, il rumore di sbattimento contro scogli e pietrine di spiaggia, un modo naturale di ricevere il buon giorno dalla vita.
La padrona di casa che ti chiede cosa stai facendo, invitandoti a tornare nel talamo, senza specificare se per continuare a dormire o per un amplesso che non sai se sarebbe una replica, ma speri proprio di sì; di sorelle non ne hai bisogno, sei figlio unico e va bene così!
Chiedere il permesso per mettere su il caffè, deludendola in entrambe le ipotesi; farla così rigirare sul fianco e riaddormentare in un nano secondo. Meglio va. Sei un trafficante di essere umani, non una balia. Il prossimo carico arriva tra due ore, devi presentarti lucido e riposato, nessun errore è permesso. 

martedì 28 luglio 2015

GORY TEX & PULPY FIX episodio 19



   

"VITO REGISTA NUDO"

- Te lo ricordi Vito il regista nudo? - chiese Roberto a Luca, il suo migliore amico nonché compagno di avventura nel loro passato di radio private a Genova.
- Come no, come sta?
- Di salute bene, solo che si è cacciato nei guai. Sua madre mi ha raccontato che si è innamorato di una bagascia made in Brasil, qualcuno l'ha fatta fuori e ora la polizia dà la colpa a lui.
- Belin che storia! Pensi che sia stato lui?
- Non dire belinate, lo sai che è un pezzo di mollica di pane, non farebbe del male neppure a una mosca che gli pisciasse sul naso!
- Allora come facciamo a dargli una mano?
- Questo è un lavoro per Gory Tex e Pulpy Fix!
Luca e Roberto si recarono in Via San Luca, già sede di Radio Genova Reporter dei bei tempi anni '80 di antica memoria, sedettero dentro un bar con aria condizionata e attesero l'arrivo dei due salvatori della patria.
Era meglio averli amici. Navigavano nell'humus dei traffici illeciti della città, al servizio di boss senza scrupoli per compiti tipo spedizioni punitive, recupero crediti, sino all'omicidio su commissione, sempre se meritato, secondo un loro codice d'onore, e lautamente ricompensato. Si erano conosciuti durante una rissa in discoteca, durante la quale avevano evitato che degli energumeni li assalissero alle spalle. Era bastato questo per metterli a loro disposizione in caso di bisogno.
E quello lo era, che caso! Appena arrivati li informarono, offrirono loro un doppio aperitivo, naturalmente alcolico anzi super alcolico e se ne andarono fiduciosi.
- Che ne pensi? - chiese Gory.
- L'unico modo è scoprire il vero colpevole - sentenziò Pulpy.
- Diamoci da fare - si alzò il socio, portandosi via una pizzetta.
La notte fu proficua. Il loro giro di informatori, tra minacce, ricatti e promesse, girò a meraviglia e poco dopo mezzanotte avevano già il responsabile legato su una sedia, in uno dei loro rifugi sulle alture cittadine.
La mattina successiva, con abrasioni a polsi, caviglie e in altri posti nascosti, il tale Pippo Calogero detto Accendino per la mania di incendiare cose e persone, fu lasciato poco distante la Questura dove, "volontariamente", spifferò la verità al dirigente e poi al magistrato, che dispose la liberazione di Vito.
Il pomeriggio, alle 17.30 circa, Luca e Roberto lo abbracciarono all'uscita del carcere di Marassi. Vito, commosso, assieme alla mamma, non faceva altro che ringraziarli. Poi un pensiero irruppe nella sua mente sconvolta da quegli interminabili giorni in cella di isolamento: - Belin, ragazzi mi avete fatto il più bel regalo di compleanno!

giovedì 9 luglio 2015

GORY TEX & PULPY FIX episodio 18





"TROPPO STRESS"

- Mi sono pippato talmente tanto che ho il belino scorticato! - esclamò Tex.
- Belin, ma dai...
- Giuro, lo vuoi vedere?
- No, ti credo sulla parola!
- E' peggio di quella volta, ti ricordi, che ti ho fatto vedere...
- La ninfomane bionda?
- Esatto, le piaceva mordicchiarlo la bagascia...
- Perché lo fai? Le donne non ci mancano...
- Cosa vuoi che ti dica, quando sono sotto stress o mangio come un lupo e ingrasso come un maiale o mi chiudo in me stesso e Federica, la mano amica!
- E per cosa sei stressato che facciamo lo stesso sporco lavoro...
- ... ma qualcuno lo deve fare, la conosco questa solfa!
- E allora?
- E allora ognuno reagisce a modo suo, ognuno percepisce le situazioni in maniera differente...
- Amen!
- Appunto... se non ho una donna a disposizione e voglio stare per conto mio vado di manovella e basta!
- Pensi che una nuova missione potrebbe servire a distrarti o aumenterebbe la... mano d'opera?
- Ora mi incuriosisci, di che si tratta?
- Mentri eri chiuso in camera da letto a smanettarti ha chiamato Don Vincenzo, il boss di Cornigliano, titolare della pizzeria...
- So chi è come te e meglio di te... taglia corto e dimmi che voleva!
- Come sei scorbutico oggi! - esclamò Fix, per poi raccontare i particolari della conversazione.

La notte successiva si appostarono in auto fuori dal locale, attendendo che chiudesse.
Il personaggio che abbassò la saracinesca era il loro bersaglio. Faceva la cresta sul giro di coca col quale Don Vincenzo, proveniente dalla costiera amalfitana e genovese di adozione dagli anni sessanta, riforniva tutta la zona ovest della città, arrivando ai paesi rivieraschi da Arenzano a Varazze.

- Vi prego, non ho soldi con me! - supplicò l'uomo quando fu disarmato e si trovò con la canna del pistolone di Tex sotto il naso, in un oscuro anfratto sulle alture collinose di Genova.
- Se volevamo l'incasso ci saremmo informati meglio e ce lo saremmo portato via senza tutto 'sto viaggiare fin qua, cazzone.
- Bando alle ciance, questo ci crede dei pivelli rapinatori da strapazzo!
- L'unico pivello sei tu che credevi di inculare Don Vincenzo e noi siamo i suoi giustizieri...
- Semmai i suoi giustizieri - volle puntualizzare Fix indicando il malcapitato Giuda.

- Sia come sia, a te la scelta, caro mio. O ci dici con le buone dove recuperare il malloppo o ti lascio nelle mani del mio partner, conosciuto nell'ambiente come "lungo coltello". Non so se mi spiego, meglio di un autentico pellerossa!
Si fiondarono a casa sua, dove viveva da solo, lo tranquillizzarono gettando diecimila euro sul letto come buonuscita con la prospettiva di una fuga immediata, parola di Don Vincenzo, purché lontano almeno mille chilometri, possibilmente all'estero, recuperarono il maltolto da una ben nascosta cassaforte a muro e se ne andarono lasciandolo in una pozza di sangue con un colpo alla nuca, tanto loro non gli avevano dato nessuna parola.

- Ti capisco, hai ragione Tex. E' proprio un lavoro stressante il nostro...

lunedì 20 aprile 2015

Gory Tex & Pulpy Fix episodio 17




"L'ESALTAZIONE DEL PISTOLONE"


- Porco maiale porco! - esclamò Gory Tex.
- Cosa ti piglia? - chiese Pulpy Fix.
- Cazzi miei! 
- Dai dimmelo...
- Ho detto di no!
- Ma perché?
- Perché no!
- E che stiamo a fare, la canzone "Vengo anch'io no tu no"? Di chi era più?
- Enzo Jannacci, ignorante! 
- Ma era tanto tempo fa...
- Eppure me la ricordo quasi tutta... "Si potrebbe andare tutti allo zoo comunale... 
- Vengo anch'io...
- ... no, tu no!
- Belin che tempi!
- Puoi dirlo forte...
- BELINNNN CHE TEMPIIIII !!!

Gory stava finendo di pulire l'arma e inserire le pallottole nel serbatoio di morte; 
oramai non badava più a Pulpy e alle sue belinate.

I ricordi della hit parade sulla radio nazionale, di Arbore e Boncompagni, di Alto Gradimento e del tormentone zoologico furono seppelliti dal rumore metallico del caricatore pieno, innestato nel calcio della pistola, poi rapidamente infilata nella cintura dei pantaloni e celata da un ampio giubbotto anti-pioggia di marca italiana, ma, guarda caso, prodotto in Bangladesh.

- Vengo con te, visto che non mi dici cosa vuoi combinare... - accennò Pulpy, deciso.

Il rumore della porta blindata che si chiudeva fu la risposta del suo socio.

"Ho come l'impressione che voglia rimanere solo" intuì abilmente l'amico che, deluso e abbacchiato, decise di farsene una ragione, consolandosi poi con una una pignatta stracolma di pop corn all'olio di semi, quello che poi ti faceva saltare una staccionata come nulla fosse, innaffiati con la birra del baffone, la sua preferita da una vita.

Nel frattempo Gory inforcò uno scooter Aprilia comprato da poco e dal centro storico dei vicoli di Genova si diresse verso il quartiere della Foce, in Via Nizza sopra il lungomare di Corso Italia.

Suonò al citofono di un vecchio palazzo di fine ottocento, riccamente ornato nella facciata esterna, entrò in un lussuoso androne di marmo e prese un ascensore di ferro che lo portò ai piani alti, giusto giusto in mezzo alla tromba delle scale; ma era di ben altra tromba che stava pensando lui.

Una figura bionda e snella aprì la massiccia porta dell'immenso appartamento di undici vani, facendolo entrare senza una parola; un sorriso malizioso bastava ad accogliere la sua venuta.

Prendendolo per mano lo condusse sulla soglia della camera da letto e lui, tutto impettito, scostò il giubbotto per vantarsi della pistola alla cintola, senza scaturire l'effetto di ammirazione a cui aveva pensato fin dall'inizio.

- Vieni qua, che m'interessa un altro pistolone! - chiarì il concetto lei.

giovedì 5 febbraio 2015

AUGURACCONTO per Nicola Skert

di Roberto Scudeletti



La luce all'orizzonte era inquietante. Un'alba che mai sorgeva. 
Il mondo freddo, ingoiato da un buio perenne. 

E tu che ci vagavi dentro, come un'anima verso la perdizione. 
Un ritorno all'era glaciale, ad un'epoca senza motori ed energia, dove chiunque bruciava qualsiasi cosa, anche cadaveri. Solo in parte per riscaldarsi...
 

Non ricordavi neppure come avevi fatto ad uscire indenne dal tuo ufficio, tra corpi di quasi zombie che si dilaniavano per un pezzo di legno da accendere, torce umane che si gettavano dai piani alti pur di evitare la cannibalizzazione dei loro poveri corpi. 

"Sono nella via di casa" - realizzasti, sorpreso. Ce l'avevi fatta! Ma come avresti trovato l'appartamento e soprattutto i tuoi cari? Il portone per fortuna era chiuso. Le mani sudate scivolavano nelle tasche alla ricerca delle chiavi.
"Trovate!" - esultasti nel freddo della bora oscura.
 

Il silenzio pervadeva l'androne, le scale e le porte chiuse man mano che salivi i gradini, a due a due, allungando le tue già estese gambe in uno sforzo veloce.
 

Finalmente la porta della tua casa. Le chiavi giuste aprirono le serrature facendoti entrare ansimante e preoccupato. Ancora silenzio e assenza di luce.
Ma qualcosa di diverso invase i tuoi sensi. Come avevi fatto a non percepirlo subito? Era evidente, ti avvolgeva, aumentava il gocciolio del tuo sudore.
 

Era il caldo. Il riscaldamento condominiale. 
Una assurdità, vista la situazione fuori.
O eri tu fuori, di testa?
 

Alla fine del corridoio la porta spalancata sul salotto e tu, dalla soglia, stendesti un braccio per accendere la luce, per provare se anche tale miracolo si sarebbe unito a quello del calore domestico.
 

Ci fu una forte esplosione...
 

- Auguri, Nicola! - mille voci confuse, ma inconfondibili interruppero il gioco di immedesimazione tra la tua vocazione di fantastico scrittore e la vita reale, mentre stavi tornando a casa dal lavoro.