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mercoledì 6 ottobre 2010

Il Cavaliere Senza Tempo di Roberto Scudeletti

9 Settembre 2007



Seduto su una panchina degli spalti di Noale, fissavo la Rocca dei Tempesta. Abbassai gli occhi sul sottostante canale, un tempo fossato difensivo. L'acqua era torbida e qua e là galleggiavano cose animate ed inanimate: anatre, papere e cigni si facevano largo fra carte e bottiglie di plastica. Sull'acqua si formavano piccole bolle d'aria, che  emergevano dal fondale con regolarità, creando ampi cerchi concentrici sulla superficie. Il silenzio fu rotto da un'improvvisa esplosione di gocce, che dal livello del fossato raggiunsero l'altezza delle torri e più su nel cielo azzurro, fino a rare nuvole di candido bianco. Seguii la direzione degli alti spruzzi, fino ad essere quasi accecato dalla luminosità del sole, giunto al suo apice naturale. La testa, rispondendo alla sollecitazione curiosa del collo e delle spalle, si riabbassò all'unisono con la cascata di ritorno del liquido grigio verdognolo.Vidi una figura, al centro delle acque, che mi stava fissando. Le sue vesti ne facevano un personaggio assolutamente anacronistico, come se una sorta di macchina del tempo avesse utilizzato le bolle d'acqua per farlo riemergere dal passato glorioso di quel paese medioevale. Un cavaliere fuori del tempo pareva ai miei occhi, sconvolti. Immerso fino al petto nell'acqua, indossava una cotta di maglia, sopra una tunica imbottita e trapuntata, un elmo lucente e reggeva un grande scudo nero con un drago giallo. Dalla sua visiera aperta intravedevo, incredulo, un teschio al posto del viso. Alzai lo sguardo verso le rovine della rocca, come per cercar conforto dalla loro moderna diroccata condizione, ma al contrario ne ricevetti un'altra frustata in piena faccia: le mura, le torri ai quattro lati e la torre inferiore erano rinate, ed il mastio intatto e possente. Disorientato dal succedersi degli avvenimenti, mi volsi di nuovo in basso per chiedere spiegazioni al misterioso figuro, che però era svanito nel nulla. Una voce alle mie spalle tuonò: "Abbiamo bisogno di voi, Sir. L'attacco sta per incominciare e tutti gli uomini ci abbisognano per la difesa". Avrei voluto rispondere: "Ma sono solo uno studente universitario!", ma il fiato mi si sgonfiò in gola, resa arsa dalla tensione. Feci quello che avrei dovuto fare già da qualche minuto e mi guardai le mani, poi le gambe e tutto il corpo, seduto non più sulla panchina di cemento, ma su un terrapieno all'interno del fossato, poco sotto le mura. Indossavo guanti di pelle ruvida, una tunica di lana pesante e calzettoni lunghi, stivaletti a ricoprirli, una leggera cotta di maglia ed un elmo a calotta. Nella spalla destra pendeva una faretra, che girandomi sullo stesso fianco scoprii colma di frecce, mentre volgendomi sul mio lato sinistro osservai pendere dall'altra spalla un arco che, poggiato sul grembo e accarezzato, si rivelò di legno flessibile e maneggevole, che sentivo di saper usare senza alcun timore. Solo allora capii che ero un arciere! Non ebbi neppure il tempo di farmi altre domande che il suono di grida, sempre più vicine, mi fece alzare e correre, al seguito del misterioso cavaliere, che mi rivolse un sorriso dal viso ora umano. Ben presto mi ritrovai tra i merli delle mura, sovrastanti l'ingresso della rocca, insieme con altri arcieri, per costituire la prima fila dei difensori. Tutto il paese si era rifugiato dentro le mura, mentre al di fuori le fattorie erano state saccheggiate ed i poveri contadini massacrati, con nuvole di fumo che emergevano all'orizzonte dalle campagne circostanti. La lotta si fece subito cruenta, con gli assalitori che tentavano di appoggiare lunghe scale di legno solido sulle pareti della rocca, mentre noi arcieri, con calma e la massima precisione possibile, scoccavamo i nostri dardi mortali verso i soldati nemici. Terminate le frecce il nostro posto sarebbe stato preso prima dai fanti e poi dai cavalieri, che alabardati con corazze pesanti sui loro destrieri attendevano impazienti il momento di entrare in azione. Venne anche prima del previsto, poiché mentre noi ci ritiravamo dopo aver terminato la scorta di dardi, contemporaneamente le truppe avversarie riuscirono a scalare le mura ed a sfondare il pesante portone di legno con gli arieti, nonostante i tentativi fatti dai difensori di gettare su di loro paioli d’acqua ed olio bollenti. Travolto dalla furia nemica, inciampando sulle scale della struttura difensiva in legno della porta d'ingresso della rocca, mi ritrovai disteso per terra, sul selciato del cortile. Intanto  orde di cavalieri e fanti dei due eserciti contendenti in armi iniziavano ad affrontarsi a colpi di spada, ascia e lancia. Un cavaliere nemico mi ritenne una preda facile e si abbassò dal suo cavallo, assestandomi un colpo di spada di piatto sull'elmo, dopo di che tutto si fece nero. "Signore, signore!" una voce mi fece, accompagnata da un tocco sulle spalle e da un rumore familiare. La mia coscienza riemerse dal pozzo profondo dell'oblio dove era finita, con una frenata. La persona mi rivelò la fine del sogno in viaggio: "Siamo arrivati al capolinea di Venezia Piazzale Roma, signore!".




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