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sabato 2 febbraio 2013

LA VILLA MALEDETTA di Roberto Scudeletti


Commento dell'autore: uno dei miei primissimi racconti, datato 1981 dove avevo 15 anni e frequentavo quindi la prima o seconda superiore! Ho volutamente lasciato intatto lo stile che è molto diverso dall'attuale, con frasi lunghe e ricche di aggettivi e avverbi, rispetto al mio attuale, frutto di tanta lettura e corso di scrittura creativa che lo hanno reso scarno con frasi breve e secche. E' una testimonianza archeologica, insomma... buona lettura!





George Harris era solito correre nel grande parco di una villa, disabitata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, poco distante da casa sua. 

Perciò, con estrema tranquillità, il giovane, alto, longilineo, dal volto piuttosto comune, ogni mattina scavalcava un vecchio cancello, chiuso da una robusta catena tramite un grosso lucchetto e percorreva i suoi sei chilometri di corsa nei sentieri tra siepi ed alberi.

Quella mattina era un giorno come tutti gli altri e nulla avrebbe fatto prevedere quello che sarebbe successo in seguito.

Bevuta una tazza di the bollente George si diresse in tuta e scarpe da ginnastica verso il cancello della villa. 

In dieci minuti, camminando e fischiettando, vi giunse, ma qualcosa di inaspettato attrasse la sua attenzione: il cancello, in ferro battuto massiccio ed arrugginito, era aperto, mentre la catena ed il relativo lucchetto erano spariti.

George era impiegato in un’agenzia di turismo e la sua vita scorreva tranquilla tra casa e ufficio; scapolo, abitava in un modesto appartamento in un piccolo paese nella verde e piovosa campagna inglese, frequentava raramente il pub di fronte ed aveva pochi amici.
Insomma una vita senza la minima scossa, sempre così monotona, priva di emozioni. Ora, tutto ad un tratto, ecco un cancello che da parecchi decenni era stato sempre chiuso, che è aperto per qualche misterioso motivo.

Tutto questo, in un altro posto, avrebbe fatto tornare sui suoi passi, spaventato, George Harris.
Ma, forse per la familiarità che aveva con quel parco, il giovane prese coraggio respirando profondamente parecchie volte e varcò il cancello, non senza un'ultima esitazione.

Ansando e guardandosi ogni tanto alle spalle percorse, veloce, un sentiero che oramai era una vera e propria strada in mezzo ad una foresta di alte erbacce. 

Osservava ogni cosa che potesse dargli una traccia con tale attenzione, soffermandosi per alcuni secondi anche su particolari insignificanti, che gli sembrava di non essere mai stato lì prima di allora.

In effetti, la sensazione che provava era giusta, poiché, oltre al fatto che lui doveva correre quei sei chilometri in tempo utile per ritornare a casa, farsi una doccia, cambiarsi e recarsi in ufficio, perciò non aveva mai avuto il tempo di fermarsi, come stava facendo adesso, c'era anche un'atmosfera strana nell'aria, misteriosa, che rendeva ancor più sconosciuta ai suoi occhi una zona che in realtà conosceva benissimo.

Ciò stava accrescendo il suo stato di agitazione, per altro comprensibile: lui, oramai un uomo, tranquillo, cui non era mai successo niente in vita sua al di fuori del solito tran-tran, trova il cancello del parco che frequenta da ben sei anni aperto da una mano misteriosa. 
Non è quindi comprensibile il suo stato?

All'improvviso gli venne in mente il lavoro; era venerdì e non poteva mancare assolutamente in ufficio, pena una lavata di capo, da parte del titolare, Mike Older. 

Avrebbe potuto continuare le ricerche il giorno seguente, poiché di sabato non lavorava. 
Così corse a perdifiato, tutto sudato, precipitandosi a casa, riuscendo a rimettersi in sesto in tempo, dopo di ché uscì da casa e arrivò al lavoro in orario.

La mattinata passò veloce, ma George non riusciva a distogliere il suo pensiero dal parco, dalla villa e dal cancello, aperto.
Sentiva qualcosa che lo spingeva, lo attraeva letteralmente verso quel posto che ora non sapeva neppure lui se conoscere o no.

<<Devo saperne di più>>- gli scappò di dire ad alta voce.
<<Che cosa?>>- chiese Doris James, una delle poche donne con cui aveva dei rapporti, anche se solo di lavoro.
<<Niente, lascia perdere>> - rispose George.
<<Okay>> - fece lei, ubbidiente.

Lui continuò a pensare mentalmente alla faccenda, stavolta camuffando i suoi pensieri: “Ricordo che il nonno diceva che in quella villa vi abitava una famiglia molto ricca. Che fine avrà fatto e come mai abbandonò tutto, così all'improvviso?”

Queste erano le domande cui doveva rispondere per continuare le indagini e perciò alla pausa di mezzogiorno andò nell'unica biblioteca del paese, che fungeva anche da archivio comunale, dove conosceva una splendida ragazza, Helen, molto cordiale e simpatica.

<<Ciao, George>> lo salutò lei, sfoderando un meraviglioso sorriso. Aveva i capelli biondi, occhi azzurri ed un corpo tutte curve, cioè come piaceva al giovane che ora le stava innanzi, incapace di parlare per l'emozione.
<<Che c'è?>> chiese lei, dolcemente.

Finalmente George si svegliò e sorrise, rispondendo con sicurezza alla sua domanda: <<Mi serve un fascicolo, precisamente quello riguardante la storia di Villa Grace>>.
<<Sì, me la ricordo. Vado subito>>. Detto ciò la ragazza si recò in un altro locale, seguita dallo sguardo affascinato di George.

Ritornò dopo pochi minuti consegnò il fascicolo completo di nomi, date, eccetera al giovane amico, il quale si fece finalmente avanti: <<Che ne dici se ti porto a pranzo, adesso, ti va?>>.
<<Oh sì! Sai George, sei molto caro>> rispose lei, mettendolo in imbarazzo.
<<Vengo subito>> concluse.

Durante il pranzo il giovane non si confidò con Helen. Anzi, tenne lontano abilmente il discorso dal motivo del suo interessamento per la villa. Promise che avrebbe restituito il fascicolo l'indomani, sempre verso mezzogiorno e ringraziò la ragazza per la responsabilità che si stava prendendo, perché la normale procedura prevedeva la consultazione dell'archivio all'interno della biblioteca, con la possibilità eventualmente di prendere appunti.

In tutto il pomeriggio non riuscì a leggere che poche righe della storia della villa e apprese solamente che il nome, Grace, era ancora quello dei suoi primi padroni, che vi abitarono sino al 1946.

Infatti, Mike Older gli ordinò di abbandonare la sua scrivania per sostituire una guida su un pullman Gran Turismo. Questo incarico lo stupì, perché non succedeva molto spesso, in verità era solo la terza volta in sei anni.

Il pomeriggio lo vide impegnato in questo lavoro, in genere divertente ma non per lui. 
Arrivò a casa distrutto dall'imprevisto incarico cui non era abituato e, appena a letto dopo una doccia ristoratrice ed una veloce cena, si addormentò subito.

Un suono forte e prolungato riuscì a destarlo a malapena: era la sveglia.
Guardò il suo orologio al quarzo che portava sempre al polso e che segnava le sette in punto; balzò, allora, dal letto e si accorse di non essere riuscito a leggere neanche una riga del fascicolo. “Leggerò solo la parte che riguarda il motivo dell'abbandono della villa, mentre correrò nel parco” - pensò.

Anche quella mattina l'atmosfera era strana e George sentiva questo senso di disagio molto chiaramente. 
Non ci pensò più e, sempre dirigendosi dal cancello verso la villa rifacendo il solito percorso, iniziò la lettura.

“L'ultima famiglia che abitò Villa Grace era molto strana: nessuno dei suoi membri fu mai visto varcare il cancello e uscire dal parco. Questo comportamento non è giustificato da nessun evento a noi conosciuto”. Seguiva una descrizione di ogni familiare, che non gli rivelò apparentemente nulla di utile all'indagine e così proseguì: “Tutti vivevano di rendita e solo i domestici, che dovevano essere fidati ed assolutamente riservati, avevano il permesso di entrare nella casa”.

Il fatto che nessuno, all'infuori dei domestici, era più entrato nella villa da quando era stata abbandonata spinse George ad interrompere la lettura e a dirigersi verso l'edificio che ora si trovava a poche decine di metri da lui, per verificare questo importante particolare. 

Il suo sesto senso, però, lo fece cadere in uno stato di terrore, di repulsione verso l'edificio stesso, tanto che rimase immobile, irrigidito, per alcuni minuti. Ma poi la curiosità e quel qualcosa che l'aveva spinto ad abbandonare la lettura e quindi le indagini sulla carta, per recarsi dentro la villa, prevalsero.

George percorse gli ultimi metri come un automa, con lo sguardo fisso verso il portone di legno massiccio, salendo, poi, per la scalinata di marmo che portava all'ingresso della villa.
Il portone era aperto e bastò una piccola spinta per spalancarlo totalmente.

Una luce intensa investì il lungo corridoio, alle cui pareti personaggi appesi a ritratti polverosi sembravano tutti guardare il coraggioso George Harris.
Alla fine una porta interrompeva il percorso; questa volta il giovane non osservava con quella scrupolosa attenzione della mattina precedente nel parco, ma proseguiva nel suo cammino, come se sapesse di essere atteso e dove andare.

Aprì la porta lentamente, girando la maniglia di ottone con la mano tremante, consapevole, forse, che al di là c'era quel qualcosa che da due giorni lo incuriosiva, lo attraeva.
L'odore di chiuso ed il buio erano opprimenti, ma all'improvviso una luce accecante apparve come un lampo che rompe l'oscurità notturna.

George era ancora intontito, quando, proprio nel cerchio di luce appena formatosi, assistette ad una scena macabra ed allucinante.

Riconobbe i componenti della famiglia dalla descrizione letta poco prima nel fascicolo. 
Si stava ripetendo la scena del 1946 ed ora George avrebbe visto come si svolsero i fatti e perché Villa Grace fu abbandonata.

Infatti, il minore dei cinque figli, di soli quindici anni, stava tagliando a pezzettini gli altri sei familiari, dopo averli sgozzati come bestie.

Rimase fermo, inorridito, mentre quel ragazzetto stava mettendo i pezzi dei suoi fratelli e dei suoi genitori in capaci valigie. Poi sistemò quest'ultime sotto al pavimento, costituito da tante travi ad incastro.

La luce e la visione sparirono di colpo, lasciando al buio una persona letteralmente distrutta, finché qualcuno avanzò con un vecchio candelabro a sette candele accese. 

<<Ora sai tutto!>> esclamò una voce, cupa.
Il giovane si voltò in direzione di essa, ma vide solamente una sagoma umana nascosta nell'ombra.
<<Sono io quel ragazzo che hai visto>> - continuò la voce – <<Ogni cinque anni si ripete questa scena... è una maledizione>>.

George guardò la data sul suo orologio: era il 7 luglio 1981 e perciò la strage a cui aveva assistito era avvenuta il 7 luglio di quel fatidico 1946.

Da allora Villa Grace era rimasta disabitata e l’autore di quell’incredibile gesto si era dileguato sparendo dalla circolazione e, secondo George, cambiando identità.

<<Sì, ora so>> - fece lui.
<<Contro questa maledizione>> - lo interruppe il misterioso assassino - <<c’è un solo rimedio: sacrificare una vita umana e mandarla a raggiungere i miei “cari” nell’ al di là>>.

George Harris si sentì in trappola, preda di un essere freddo e spregevole, un mostro.
Ciò nonostante trovò la forza di scappare e, correndo a perdifiato, lasciò la villa maledetta percorrendo a ritroso il solito sentiero.

Non si voltò mai indietro, ma guardò sempre innanzi a sé nella speranza di scorgere da un momento all’altro il cancello e quindi la libertà da quell’incubo.

Finalmente giunse in prossimità della recinzione che lo divideva dalla salvezza. Col vantaggio che aveva ottenuto con lo scatto a sorpresa era oramai salvo, almeno così sembrava.

Ma, incredibilmente, forse per l’emozione e la tensione accumulata negli ultimi giorni, George inciampò in un sasso sporgente e cadde a terra pesantemente.
Rimase stordito e la testa gli doleva ancora quando la sconosciuta voce maschile fece: 
<<Non puoi sfuggire al destino>>. 

Il giovane disteso a terra rivolse lo sguardo ad una pagina del fascicolo che si era aperto con la caduta, dalla quale lesse faticosamente alcune righe: “...dalla strage si salvò solamente il figlio minore, sul quale si diressero i sospetti, ossia il quindicenne Mike Older...”.

Inutile descrivere lo stupore di George Harris, il quale, però, si riprese relativamente presto e si voltò in direzione del suo principale, nonché pluriomicida.

<<Ora capisco perché...>> urlò con disprezzo <<mi ha mandato via dall’ufficio ieri pomeriggio. Voleva impedirmi di leggere il suo nome sul fascicolo e c’è riuscito>>.
<<Già>> - fece egli, ridendo. La voce era diversa da quella consueta, aveva un timbro roco da folle, quale era lui. George, per prendere tempo, continuò il colloquio: <<Ma come ha fatto a scampare alla forca?>>.

Mike Older rispose, sicuro di sé: <<Io fui solo sospettato e mai accusato; fui io ad indicare dove si trovavano i cadaveri e accusai una banda di maniaci che mi avrebbero lasciato vivo solo per il gusto perverso di farmi raccontare cosa era successo e insinuai di una possibile vendetta da parte di un domestico o di un fornitore>>.

<<Ma allora perché i maniaci avrebbero nascosto i cadaveri per farli trovare tramite lei?>> - lo interruppe George.

<<Su questa domanda, che mi rivolse anche l’ispettore di Scotland Yard incaricato delle indagini, io costruii il mio capolavoro di presunta innocenza. Infatti, controbattei chiedendo che senso avrebbe avuto che lo avessi fatto io. Il medico legale contribuì a salvarmi, affermando che spesso i maniaci fanno cose contraddittorie e che ciò confermava la mia testimonianza. A nessuno di loro venne in mente che il maniaco poteva essere un quindicenne, anche perché fare quel massacro da solo era impensabile. Una cosa da pazzi.... ahahahaha>>. Dopo questa risata folle concluse: <<Me la cavai così, alla grande e non dovetti neppure cambiare né nome né paese; trovai lavoro e mi sistemai poi come sai>>. 

Un momento di pausa servì a George per girarsi verso la persona che, in quel momento, odiava di più al mondo. Lo guardò negli occhi e poi, mutando espressione, chiese: <<Come mai nessuno, a quanto ne so io, ne ha mai parlato in paese?>>.

E l’uomo rispose: <<Tu sei giovane e non conosci la mentalità degli abitanti di questo piccolo paese. Nessuno si è mai intrigato degli affari altrui>>.

Tra poco sarebbero scoccate le otto e Mike Older avrebbe dovuto essere in ufficio, come sempre, anche al sabato, per non destare sospetto. Perciò, stringendo i tempi, egli disse: << La maledizione è durata troppo tempo, non ne potevo più, finalmente ho trovato il coraggio ed ora grazie a te finirà, per sempre. MI spiace, ma tu ora morirai>>.

Queste parole fecero scattare George, che si precipitò come una molla a grande velocità verso il cancello aperto, il quale si chiuse violentemente proprio mentre lui stava passandoci attraverso, come spinto da una forza misteriosa.

Lo uccise, stritolandolo, mentre, con calma, Mike Older arrivò lì e dirigendo lo sguardo verso la villa disse, con la voce ritornata la solita: <<La maledizione è stata sconfitta>>.

Poi, guardando George Harris, fece: <<Te l’avevo detto, ragazzo mio. Non potevi fuggire al destino della villa maledetta>>.

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